Europa, fiducia responsabilità: la nostra visione
Come tanti cittadini, anche io in queste ore sono confuso per il futuro incerto che ci si è aperto davanti, dove abbiamo perso qualcosa cui, con maggiore o minore efficacia, eravamo abituati e cioè la governabilità del Paese. Ci rimane il fondamento saldo della nostra Costituzione: la democrazia. E democraticamente gli italiani hanno scelto. Con una legge elettorale che dava per altamente probabile uno stallo a meno di una relativa forte prevalenza di qualche forza politica che non avesse dichiarato di non voler scendere a patti con nessuno.
Oggi abbiamo forze politiche «vincitrici», senza una maggioranza. Vincitrici all’interno delle loro coalizioni, o vincitrici rispetto alle loro aspettative. Forse politiche che hanno preso nuove misure tra di loro ma sono perdenti, tutte, nei confronti del Paese che aspettava l’inizio di una nuova legislatura per affrontare questioni importanti e non più rinviabili. Abbiamo vissuto una brutta campagna elettorale con pochi progetti di visione, molte promesse orientate a catturare singoli bisogni dei cittadini, legittimi ma che non possono essere soddisfatti se non dentro ad un disegno complessivo di fattibilità. È come se la campagna avesse suonato i tasti di una pianoforte senza uno spartito. E l’obiettivo era quello di dividere gli elettori ciascuno incuneato in un interesse individuale non di creare condivisione su obiettivi generali. E il risultato lo abbiamo visto. Le difficoltà ci hanno resi egoisti e le disuguaglianze più sensibili alle promesse. E spesso a ragione. Ci sono problemi immensi cui non si è saputo dare risposte e nemmeno si è saputo affrontarli per capirli fino in fondo: mi riferisco ai giovani disillusi e senza fiducia nel futuro, mi riferisco al dramma della crescente povertà in un Paese che pensava di averla cancellata per sempre. Mi riferisco all’illegalità che condiziona pesantemente la vita sociale ed economica di imprese e cittadini. Ma non sarà certo la chiusura dell’Italia in un perimetro più stretto a risolvere questi problemi. Anzi, questa opzione, li amplierebbe condannandoci ad un declino maggiore. Nelle Assise Generali, che due settimane fa ha visto riuniti a Verona 7.000 imprenditori, Confindustria ha messo sul tavolo un progetto generale per il Paese. Un progetto sostenibile in termini di risorse, ambizioso nei numeri, e soprattutto realizzabile sulla base di una vera e propria visione. È un progetto che parla all’orgoglio di un Paese manifatturiero, che parla alla testa delle persone, parla al coraggio di decisioni di medio termine e rispetta la scelta fatta molti anni fa di un Paese inserito a pieno titolo nel disegno di un’area europea forte e coesa. Un progetto strategico e sostenibile orientato allo sviluppo. Il nostro obiettivo era di metterlo a disposizione di chi avrebbe governato e di dichiarare - da subito - su cosa Confindustria si sarebbe battuta nei prossimi anni, chiunque fosse stato l’interlocutore. Se ci sarà, quando ci sarà, la nostra visione è chiara. L’Europa innanzitutto. Il nostro Paese vive di un manifatturiero di trasformazione e le imprese assicurano crescita e sviluppo grazie alle loro relazioni internazionali. L’export italiano nel 2017 ha registrato un’accelerazione notevole e ha raggiunto quota 450 miliardi di euro. Solo Verona è nella cinquina di punta per interscambio manifatturiero. Nessuno che abbia davvero a cuore il futuro dell’Italia potrà mettere a repentaglio questa vocazione e tanto meno pensare che si possa rafforzare la crescita appena ritrovata se non all’interno del primo mercato mondiale. Gli investimenti sono lo strumento irrinunciabile per la crescita e per la creazione di lavoro. Il nostro piano prevede una crescita possibile del 10% in 5 anni; 1,8 milioni di posti di lavoro per accrescere almeno del 5% il tasso di occupazione. Ma la crescita consente anche di ridurre il rapporto debito/pil. L’Italia è il Paese con il terzo debito pubblico più alto al mondo. In 5 anni potremmo perdere questo sconcertante primato liberando risorse per la crescita. Il nostro piano prevede di spendere risorse ma anche di recuperarne per renderlo sostenibile: un piano da 250 miliardi per avere un Paese migliore, che rimane al fianco dei Paesi di punta nel mondo, un Paese più equo e inclusivo. Ciò che è stato fatto per dare fiducia alle imprese in questi anni col piano Industria 4.0 non ha impiegato risorse distratte da altre impieghi ma ha scommesso sulla crescita e gli effetti sono stati vistosi. Questo patrimonio non si deve disperdere se vogliamo un Paese moderno e capace di innovare. Se guardo all’ultimo anno vedo un Paese che ha saputo agganciare la ripresa e via via consolidarla. Vedo imprese impegnate in investimenti non solo ordinari ma soprattutto capaci di far avanzare il sistema produttivo sulla frontiera tecnologica avvicinandosi ai grandi competitors internazionali. Vedo, insomma una parte del Paese in fermento, quella parte che fa da volano per il resto. E questo deve essere preservato a tutti i costi, per il bene di tutti. Oggi, più che mai, nonostante lo smarrimento e le preoccupazioni di questi giorni che non ci offrono certezze, dobbiamo ritrovare il senso autentico del fondamento costituzionale della democrazia e delle istituzioni. La campagna elettorale è stata accompagnata da una forte sfiducia nelle istituzioni rappresentative. Ma chi governerà sarà dentro quelle stesse istituzioni, ne avrà la responsabilità e dovrà ritrovarne il significato. Essere fuori dalle istituzioni è un lavoro relativamente più semplice. Adesso il banco di prova è a portata di mano e reclama responsabilità. Sarà un sentiero stretto dentro il quale costruire il rispetto delle promesse elettorali e il rispetto delle vocazione irrinunciabile di un Paese aperto: ma sono fiducioso. Sono fiducioso che i sentimenti euroscettici possano trasformarsi in autentiche spinte al rinnovamento delle istituzioni e delle regole comunitarie, di cui c’è indiscutibilmente bisogno. Sono fiducioso che le derive assistenzialistiche si possano trasformare in misure di sostegno a chi ha veramente bisogno di solidarietà senza mortificare né il merito né il diritto al lavoro. Sono fiducioso che ci sia la consapevolezza che ciò che serve per ottenere voti non è ciò che serve per governare, dove determinazione, equilibrio e la lungimiranza di mettere insieme un quadro complesso, sostituiscono qualsiasi rancore e rivendicazione. Solo così l’Italia avrà il suo futuro. Anche questo momento di stallo, di attesa, di raccolta delle idee alla ricerca di un nuovo equilibrio, avrà il suo significato. Alla fine, ne sono sicuro, ci avrà insegnato che il Paese è forte e capace di cambiare, lo sono le sue imprese, lo sono i suoi cittadini.