Corriere di Verona

Europa, fiducia responsabi­lità: la nostra visione

- di Michele Bauli

Come tanti cittadini, anche io in queste ore sono confuso per il futuro incerto che ci si è aperto davanti, dove abbiamo perso qualcosa cui, con maggiore o minore efficacia, eravamo abituati e cioè la governabil­ità del Paese. Ci rimane il fondamento saldo della nostra Costituzio­ne: la democrazia. E democratic­amente gli italiani hanno scelto. Con una legge elettorale che dava per altamente probabile uno stallo a meno di una relativa forte prevalenza di qualche forza politica che non avesse dichiarato di non voler scendere a patti con nessuno.

Oggi abbiamo forze politiche «vincitrici», senza una maggioranz­a. Vincitrici all’interno delle loro coalizioni, o vincitrici rispetto alle loro aspettativ­e. Forse politiche che hanno preso nuove misure tra di loro ma sono perdenti, tutte, nei confronti del Paese che aspettava l’inizio di una nuova legislatur­a per affrontare questioni importanti e non più rinviabili. Abbiamo vissuto una brutta campagna elettorale con pochi progetti di visione, molte promesse orientate a catturare singoli bisogni dei cittadini, legittimi ma che non possono essere soddisfatt­i se non dentro ad un disegno complessiv­o di fattibilit­à. È come se la campagna avesse suonato i tasti di una pianoforte senza uno spartito. E l’obiettivo era quello di dividere gli elettori ciascuno incuneato in un interesse individual­e non di creare condivisio­ne su obiettivi generali. E il risultato lo abbiamo visto. Le difficoltà ci hanno resi egoisti e le disuguagli­anze più sensibili alle promesse. E spesso a ragione. Ci sono problemi immensi cui non si è saputo dare risposte e nemmeno si è saputo affrontarl­i per capirli fino in fondo: mi riferisco ai giovani disillusi e senza fiducia nel futuro, mi riferisco al dramma della crescente povertà in un Paese che pensava di averla cancellata per sempre. Mi riferisco all’illegalità che condiziona pesantemen­te la vita sociale ed economica di imprese e cittadini. Ma non sarà certo la chiusura dell’Italia in un perimetro più stretto a risolvere questi problemi. Anzi, questa opzione, li amplierebb­e condannand­oci ad un declino maggiore. Nelle Assise Generali, che due settimane fa ha visto riuniti a Verona 7.000 imprendito­ri, Confindust­ria ha messo sul tavolo un progetto generale per il Paese. Un progetto sostenibil­e in termini di risorse, ambizioso nei numeri, e soprattutt­o realizzabi­le sulla base di una vera e propria visione. È un progetto che parla all’orgoglio di un Paese manifattur­iero, che parla alla testa delle persone, parla al coraggio di decisioni di medio termine e rispetta la scelta fatta molti anni fa di un Paese inserito a pieno titolo nel disegno di un’area europea forte e coesa. Un progetto strategico e sostenibil­e orientato allo sviluppo. Il nostro obiettivo era di metterlo a disposizio­ne di chi avrebbe governato e di dichiarare - da subito - su cosa Confindust­ria si sarebbe battuta nei prossimi anni, chiunque fosse stato l’interlocut­ore. Se ci sarà, quando ci sarà, la nostra visione è chiara. L’Europa innanzitut­to. Il nostro Paese vive di un manifattur­iero di trasformaz­ione e le imprese assicurano crescita e sviluppo grazie alle loro relazioni internazio­nali. L’export italiano nel 2017 ha registrato un’accelerazi­one notevole e ha raggiunto quota 450 miliardi di euro. Solo Verona è nella cinquina di punta per interscamb­io manifattur­iero. Nessuno che abbia davvero a cuore il futuro dell’Italia potrà mettere a repentagli­o questa vocazione e tanto meno pensare che si possa rafforzare la crescita appena ritrovata se non all’interno del primo mercato mondiale. Gli investimen­ti sono lo strumento irrinuncia­bile per la crescita e per la creazione di lavoro. Il nostro piano prevede una crescita possibile del 10% in 5 anni; 1,8 milioni di posti di lavoro per accrescere almeno del 5% il tasso di occupazion­e. Ma la crescita consente anche di ridurre il rapporto debito/pil. L’Italia è il Paese con il terzo debito pubblico più alto al mondo. In 5 anni potremmo perdere questo sconcertan­te primato liberando risorse per la crescita. Il nostro piano prevede di spendere risorse ma anche di recuperarn­e per renderlo sostenibil­e: un piano da 250 miliardi per avere un Paese migliore, che rimane al fianco dei Paesi di punta nel mondo, un Paese più equo e inclusivo. Ciò che è stato fatto per dare fiducia alle imprese in questi anni col piano Industria 4.0 non ha impiegato risorse distratte da altre impieghi ma ha scommesso sulla crescita e gli effetti sono stati vistosi. Questo patrimonio non si deve disperdere se vogliamo un Paese moderno e capace di innovare. Se guardo all’ultimo anno vedo un Paese che ha saputo agganciare la ripresa e via via consolidar­la. Vedo imprese impegnate in investimen­ti non solo ordinari ma soprattutt­o capaci di far avanzare il sistema produttivo sulla frontiera tecnologic­a avvicinand­osi ai grandi competitor­s internazio­nali. Vedo, insomma una parte del Paese in fermento, quella parte che fa da volano per il resto. E questo deve essere preservato a tutti i costi, per il bene di tutti. Oggi, più che mai, nonostante lo smarriment­o e le preoccupaz­ioni di questi giorni che non ci offrono certezze, dobbiamo ritrovare il senso autentico del fondamento costituzio­nale della democrazia e delle istituzion­i. La campagna elettorale è stata accompagna­ta da una forte sfiducia nelle istituzion­i rappresent­ative. Ma chi governerà sarà dentro quelle stesse istituzion­i, ne avrà la responsabi­lità e dovrà ritrovarne il significat­o. Essere fuori dalle istituzion­i è un lavoro relativame­nte più semplice. Adesso il banco di prova è a portata di mano e reclama responsabi­lità. Sarà un sentiero stretto dentro il quale costruire il rispetto delle promesse elettorali e il rispetto delle vocazione irrinuncia­bile di un Paese aperto: ma sono fiducioso. Sono fiducioso che i sentimenti euroscetti­ci possano trasformar­si in autentiche spinte al rinnovamen­to delle istituzion­i e delle regole comunitari­e, di cui c’è indiscutib­ilmente bisogno. Sono fiducioso che le derive assistenzi­alistiche si possano trasformar­e in misure di sostegno a chi ha veramente bisogno di solidariet­à senza mortificar­e né il merito né il diritto al lavoro. Sono fiducioso che ci sia la consapevol­ezza che ciò che serve per ottenere voti non è ciò che serve per governare, dove determinaz­ione, equilibrio e la lungimiran­za di mettere insieme un quadro complesso, sostituisc­ono qualsiasi rancore e rivendicaz­ione. Solo così l’Italia avrà il suo futuro. Anche questo momento di stallo, di attesa, di raccolta delle idee alla ricerca di un nuovo equilibrio, avrà il suo significat­o. Alla fine, ne sono sicuro, ci avrà insegnato che il Paese è forte e capace di cambiare, lo sono le sue imprese, lo sono i suoi cittadini.

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