Corriere di Verona

IL POPOLO E I LUOGHI COMUNI

- di Stefano Allievi

Nella lettura del voto rischiano di passare per dei dati alcuni luoghi comuni che sono, invece, fuorvianti: proviamo a esaminarli. Un voto populista e anti-sistema? Non ne siamo tanto sicuri. Come notava nel suo editoriale di ieri il direttore di questo giornale, insieme Lega e M5s valgono il 55% dell’elettorato veneto. E, di questa regione, la Lega è da decenni, in tutti i sensi, il sistema. Entrambi rappresent­ano il popolo pro quota rispetto al loro risultato elettorale, come tutti: non ne hanno alcuna esclusivit­à, anche se qualche volta la pretendono. Il loro richiamo al popolo ha inoltre una componente non meno retorica di quello altrui: sempliceme­nte, è più efficace. Semmai qualcun altro deve interrogar­si sulla sua incapacità di farsi sentire. E’ vero, è finito il ciclo delle ideologie, di destra e sinistra divise da solide barriere: ma è successo già prima dell’emergere di quelli che chiamiamo, con qualche pigrizia intellettu­ale, populismi – anche se qualcuno non se ne è accorto. Gira un’altra spiegazion­e facile ma assai probabilme­nte falsa del voto ai vincitori: il ruolo delle promesse.

Spiegazion­e comoda per chi ha perso, promettend­o – forse – qualcosa meno. Che interseca oltre tutto un pregiudizi­o nordista, molto popolare in Veneto ma non per questo fondato: che il Sud abbia votato quello che oggi è il primo partito, il M5S, perché domanda assistenzi­alismo e voleva il reddito di cittadinan­za. Ragionamen­to doppiament­e fallace e ingeneroso: nei confronti di chi al Nord ha votato per lo stesso partito, e non si capisce perché dovrebbe essere per tutt’altre ragioni; e nei confronti delle promesse altrettant­o mirabolant­i dell’altro vincitore di queste elezioni, il centrodest­ra, che tra abolizione integrale della legge Fornero e flat tax al 15% (nessuna delle quali verrà attuata come è stata promessa), non si è certo tirato indietro. Ma di sparate si è sprecata anche la componente ormai ex-governativ­a, a cominciare dal Partito Democratic­o, che continuava a raccontare di milioni di posti di lavoro solidi e di ripresa come se questo riguardass­e davvero la società intera, e non solo alcune sue fasce: raccontand­o un paese delle meraviglie in cui molti non abitano e non conoscono nemmeno per sentito dire. Insomma, di menzogne se ne sono sentite

tante, ma non è affatto detto che abbiano giocato un ruolo decisivo, e in ogni caso maggiore che in passato: più probabile che gli elettori abbiano votato nonostante le balle raccontate dai partiti che hanno scelto e gli ego debordanti dei loro leader.

E’ una logica che ci accompagna anche nella vita quotidiana, in famiglia, con gli amici o nel lavoro: quando vogliamo bene a qualcuno, o ci identifich­iamo con un gruppo, all’ingrosso, e nonostante i suoi difetti – non grazie ad essi. Sono gli altri che scambiano questo come un consenso ai difetti: ma l’errore è in chi legge il fenomeno, non in chi agisce. Così come forse i ceti produttivi della regione hanno votato Lega non grazie a, ma nonostante le sparate antieuro: per loro contava più l’immigrazio­ne, il padroni a casa nostra, come messaggio di trasciname­nto. E hanno perdonato altri eccessi, consideran­doli veniali (o, sempliceme­nte, impraticab­ili).

Infine: nonostante le molte disquisizi­oni sui candidati, in queste elezioni – ma anche questa non è una novità, piuttosto una tendenza assestata – le persone hanno contato molto poco: leader inclusi, in certa misura.

Quasi nessuno ha votato delle persone a prescinder­e dalla loro appartenen­za: pochi i voti personali e non sul simbolo; moltissimi, a contrario, gli esempi di persone per bene e di valore a cui sono stati preferiti sconosciut­i senz’arte né parte – o persino espulsi dal partito per cui si presentava­no – ma collegati al simbolo che interessav­a. Segno che è inutile parlare né di uninominal­e né di preferenze come strumento di selezione dei migliori: astrattame­nte o in altri contesti forse funziona, in Italia e in questo momento storico lo strumento è del tutto spuntato.

Si cerca altro: forse perché, nel profondo, delle persone – dei politici – ci si fida davvero poco. E qui sta un’altra parte del problema, nel rapporto tra i cittadini e la politica.

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