MENO FESTA E PIÙ PROTESTA
Una festa ci sarà anche in questo 8 marzo, certo. I giornali sono carichi di annunci invitanti: concerti, spettacoli teatrali, ingressi gratuiti a musei e mostre. E naturalmente, come sempre, ci saranno le serate con amiche al cinema e in pizzeria. Forse meno mimose, e meno ancora striptease maschili in discoteca. Gli 8 marzo cambiano col tempo, come cambia il femminismo che, si sa, è un movimento carsico. A volte emerge con forza altre volte sprofonda nel silenzio, specie, oggi, da parte della generazione delle Millennial: che ignorano quanta fatica sono costate alle madri e sorelle maggiori (le «ragazze del secolo scorso», per dirla con Rossana Rossanda) le grandi o piccole conquiste di libertà e di diritti di cui ora figlie e nipoti godono.
Ma stavolta le donne parlano, anzi urlano di rabbia, dolore, determinazione per la parità e soprattutto contro ogni tipo di violenza. A partire dai femminicidi, ormai quasi uno al giorno: c’è il rischio che l’indignazione lasci il posto ad assuefazione e indifferenza. E a proseguire con le molestie in ogni ambito, da quello famigliare a quello nel mondo dello spettacolo o del lavoro qualsiasi, dove le donne sono spesso più deboli, e non denunciano per non perdere il posto, e non se ne vanno di casa, se le violenze sono domestiche, per motivi economici o di vergogna sociale. Anche se poi molte si rivolgono ai centri antiviolenza.
Eoltre alle offese, alle umiliazioni, alle botte, devono a volte subire quel tipo di molestia «scherzosa» che può ferire come un pugno. Fatta di parole. Cito: « La storia è stata fatta solo dagli uomini», dice tutto fiero quell’uomo che non sa neppure gestire la propria vita. Oppure: «Ma come, non ti senti lusingata»?, provoca quel capo che palpeggia la dipendente. E ancora: «Sei una fallita», accusa quel convivente che - ancora oggi vorrebbe la compagna succube, oltre al lavoro fornelli, camicie da stirare e figli da seguire. Anche la prostituzione, se non scelta ma imposta - specie alle immigrate - è frutto di violenza, anche il cyberbullismo, per non parlare dell’adescamento in rete, un vero e proprio crimine. Che spesso provoca disturbi da stress, quando non suicidi.
Denunciare tutto questo e altro ancora è sacrosanto, ma un po’ riduttivo. Occorre insistere sul valore delle donne, sulla differenza in positivo che il loro contributo genera nella società per la loro fatica, per il coraggio, la generosità nel volontariato, l’incremento culturale, il successo nello sport e l’impegno politico, nonostante la scarsa presenza femminile nelle istituzioni. Le recenti elezioni hanno mandato in parlamento, qui nel Veneto, meno di un terzo di elette rispetto agli uomini, eppure di donne interessate e preparate alla partecipazione politica ce ne sarebbero ben di più.
Occorre ricordare la storia delle donne che, qui dal Veneto, han fatto l’Italia. Dalla prima laureata del mondo, Elena Cornaro Piscopia, a Tonina Marinello, che travestita da uomo ha partecipato alla spedizione dei Mille. Da Felicita Bevilacqua La Masa, che oltre a dedicarsi alla cultura ha portato soccorso ai rivoltosi della Repubblica Romana nel 1848. Dalle artiste e scrittrici e scienziate e imprenditrici, via via sempre più numerose con il passare del tempo, a donne come Tina Anselmi, partigiana e politica, e alle due Merlin, Lina e Tina. Di loro (e non solo di loro) ha scritto Tiziana Agostini nel libro «Le donne del Nordest», e hanno scritto altre autrici più o meno celebri. Ecco, per finire questa minirassegna incompleta, vorrei ricordare le tante eroine senza nome e senza gloria, che non finiranno nei libri, nei nomi di strade e piazze, che non sono mai state celebrate ma hanno contribuito e contribuiscono a fare del Veneto una regione migliore, e dell’Italia un Paese migliore, e del mondo un mondo migliore.