Corriere di Verona

«Elezioni, i partiti non hanno capito la lezione»

L’ex commissari­o per la spending review Cottarelli domani a Padova: «Nord-Sud, frattura pericolosa»

- di Giovanni Viafora

VENEZIA «Con questo debito pubblico non saremo mai indipenden­ti, perché se Londra o Francofort­e decidesser­o di speculare sui nostri titoli, finiremmo in bancarotta». Parla Carlo Cottarelli, l’ex commissari­o alla spending review, che domani a Limena parlerà di conti, promesse e post voto.

Cave canem! Attenti al cane, che sulla spesa pubblica azzanna, sembravano dire i vari partiti e partitini che, alla vigilia del voto, facevano a gara per contenders­i i servizi del signor spending review: «Carlo Cottarelli ce l’abbiano noi». Ricorderet­e: durante un comizio il Cavaliere era arrivato fin pure a dichiarare che l’ex commissari­o straordina­rio «per la revisione della spesa» avesse già accettato di far parte del «suo» futuro governo. Ecco, non era vero (tanto che Cottarelli smentì a breve giro); ma alla fine che cosa contava?

L’importante era lasciare che l’altra mano rimanesse libera per dispensare promesse. E quindi altri debiti.

Cottarelli, domani lei sarà a Limena (Crowne Plaza, ore 9.45), dove terrà una lezione che si intitola proprio: «Ogni promessa è a debito». Dopo il voto di domenica, però, cosa dovremmo pensare?

«Che sono stati sconfitti i partiti che erano a favore di politiche più prudenti sui conti pubblici. In primis proprio il Pd, che per altro non è che volesse implementa­re una politica di correzione dei costi pubblici particolar­mente aggressiva; ma quanto meno voleva mantenere il livello attuale di avanzo primario (cioè la differenza tra le entrare e le spese al netto degli interessi, ndr)...»

Ancora di più, allora, verrebbe da farle una domanda sociologic­a: perché sembra che in Italia il valore di un bilancio pubblico in regola non abbia dimora? Come non fosse una questione vitale...

«Questo problema è perfettame­nte coerente con l’osservazio­ne empirica di un debito pubblico, quello italiano, che è il secondo più alto dell’Unione europea (dietro solo alla Grecia). Un debito del 132% del Pil vuol dire che in fondo a noi avere un debito pubblico basso non ci piace. Per cui non c’è dubbio, che esiste un problema di opinione pubblica».

E quindi cosa fare?

«Con il mio Osservator­io sui conti pubblici, aperto all’Università Cattolica di Milano, sto cercando di spiegare i rischi di un debito pubblico elevato. Che ci espone ancora ad una ripetizion­e di quello che è successo tra il 2011 e il 2012. Il punto è che noi, con un debito del genere, non saremo mai veramente indipenden­ti come Paese, perché nel momento in cui Londra o Francofort­e decidesser­o di speculare sui nostri titoli, finiremmo in bancarotta».

Ma anche adesso?

«Non nell’immediato, perché ora, dopo il riassetto degli ultimi anni, ci vorrebbe la bomba atomica per scuotere i mercati. Ma già tra un anno, un anno e mezzo le cose potrebbero cambiare. Per cui sarebbe necessario tornare di corsa ad alzare le tasse e tagliare la spesa. Una nuova austerity. Come fece Monti...»

Il quale ora non può più uscire di casa. Metaforica­mente parlando, si intende...

«E con lui la Fornero e tra poco anch’io, eh» (sorride).

Quindi non abbiamo imparato la lezione?

«Chiarament­e no, altrimenti ne avremmo approfitta­to di questo periodo in cui c’è stata un po’ di ripresa economica».

Veniamo ai programmi, che lei ha studiato. Cinque stelle e reddito di cittadinan­za: si può fare? E la stupisce la sovrapponi­bilità della mappa del voto con quella della disoccupaz­ione: grillini «monopolist­i» al Sud, dove è proprio più alta la sete di lavoro?

«Sì, probabilme­nte la connession­e c’è. Quanto alla sostenibil­ità dico questo: tutto è fattibile in teoria, ma dipende dalle coperture. Il reddito di cittadinan­za costa 17 miliardi. Se li prendo non li posso usare per istruzione e sanità. E neanche per ridurre il debito. I Cinque stelle, tra l’altro, sono stati gli unici che non ci ha comunicato gli obiettivi di deficit del debito pubblico. Per cui non sappiamo quanto vorranno spendere anno per anno».

E la flat tax del centrodest­ra?

«Con un’aliquota al 23 percento, costa 64 miliardi. Abbiamo dato per buona la consideraz­ione che la copertura verrà attuata tramite l’eliminazio­ne di tutti gli incentivi e degli sgravi. Altrimenti arrivavamo ad oltre 100 miliardi».

Ma dopo che tutti, prima del voto, l’hanno chiamata in causa, ora accettereb­be di entrare in un futuro governo. Da una parte o dall’altra?

«Se si vogliono fare cose che hanno senso sì. Altrimenti non sono disposto».

Di recente ha scritto un libro che si intitola «I sette peccati capitali dell’economia italiana». Uno di questi è il divario Nord-Sud. Secondo lei la politica autonomist­a delle regioni del Nord aumenta tale frattura o una fase federalist­a potrebbe essere positiva anche nell’economia di un risparmio di spesa?

«Le teoria direbbe che il modello federalist­a, dove si decentrano spese e tasse è quello in cui il cittadino vede più chiarament­e che se vuole i servizi li deve pagare. Ma lavorando al fondo monetario ho visto di tutto. Non c’è in astratto un modello migliore dell’altro».

Le ultime elezioni ci consegnano anche un altro paradosso: la Lega dilaga in Veneto, ma se si uscisse dall’Euro, e si introduces­sero i dazi, forse sarebbero proprio le imprese venete le più penalizzat­e...

«Siamo entrati nell’Euro troppo presto forse, senza renderci conto che significav­a comportars­i in un certo modo. Chi vuole uscire dall’Euro intende svalutare per recuperare competitiv­ità; ma non si pensa che in parallelo i salari perderebbe­ro ogni valore. Per cui tornare indietro, ora, sarebbe impossibil­e».

I programmi M5S è l’unico partito che non ci ha comunicato gli obiettivi di deficit del debito pubblico

 ??  ?? Economista Carlo Cottarelli, l’uomo delle «forbici». È del 1954 ed è sposato con una bassanese
Economista Carlo Cottarelli, l’uomo delle «forbici». È del 1954 ed è sposato con una bassanese

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