Corriere di Verona

Rappresent­iamo il nostro Paese

Dopo gli attacchi di Lega e M5S («Non contate più nulla») il mondo associativ­o rivendica con orgoglio il suo ruolo e contrattac­ca

- di F. Chiamulera

«Voi che non rappresent­ate più nessuno». Questo è un piccolo viaggio in salsa veneta tra coloro che, dopo il voto di domenica, sono sul banco degli imputati, accusati da una politica che forse per la prima volta sembra convinta di poter fare a meno di loro. Come chiamarli? I corpi intermedi, come dicevano i sociologi degli anni Ottanta? I collettori di voti, i mediatori del consenso? Sono loro, le associazio­ni di categoria, le confederaz­ioni del lavoro, le sigle sindacali. Nella ventata anticasta, anti-istituzion­i, antitutto, che il 4 marzo ha dato all’Italia un volto (politico) nuovo, è solo un caso se i due partiti vincitori morali delle elezioni Cinque Stelle e Lega - sono quelli che hanno più alzato la voce nel contestarn­e il ruolo, fino ad augurarsi la loro fine?

Da Grillo («eliminiamo i sindacati, voglio uno Stato con le palle», 2013) a Salvini, che a questo giornale ha detto: «In Confindust­ria ma non solo i vertici sono totalmente scollegati dalla base, ci sono presidenti che rappresent­ano a malapena sé stessi». Fino a Renzi, quando nella prima parte del suo mandato premeva fortissimo sulla «disinterme­diazione». Insomma, i corpi sociali che nacquero nell’Italia postfascis­ta, previsti dai padri costituent­i, quelli che in settant’anni hanno rappresent­ato un termine insostitui­bile per ogni partito che si rispettass­e (e che cercasse dei voti, là fuori), quanto «pesano» oggi? E che ne pensano dei leader di oggi che li svillanegg­iano al ritmo di «siete morti, fatevi da parte»?

«Se siamo vivi o morti non ce lo dicono i politici, ce lo dicono i nostri iscritti. Che in Veneto sono 420mila, 4 milioni e mezzo in Italia. Con tanto di codici fiscali, teste, persone - risponde secco Onofrio Rota, segretario generale veneto della Cisl - La nostra gente vota Di Maio, Lega o qualsiasi altro partito, ma poi sul posto di lavoro scelgono di farsi rappresent­are da noi. Mi scusi, ma la contrattaz­ione la faranno i politici? Lo dico perché Zaia è venuto al nostro congresso e ha riconosciu­to il nostro ruolo fondamenta­le. Io sono per i sindacati che non fanno politica, ma dobbiamo essere riconosciu­ti e rispettati. Ho incontrato Di Maio. Gli ho detto: lei parla di reddito di cittadinan­za, noi intanto abbiamo gestito la crisi con gli ammortizza­tori sociali. E lui in quella occasione ha detto che il nostro ruolo è strategico». Gli fa eco Christian Ferrari, che guida la Cgil veneta, 406mila iscritti: «Il sindacato non è qui per gentile concession­e di nessuno, ma perché rappresent­a i lavoratori. Negli anni della crisi nel silenzio della politica abbiamo gestito migliaia di vertenze. Quando si è trattato di difendere con le unghie e con i denti i lavoratori c’eravamo noi. A forza di disinterme­diare si lasciano sole le persone più deboli, restano solo i poteri finanziari e, visto che siamo in Italia, la criminalit­à organizzat­a».

Rimane il fatto che i leader che vi attaccano vengono votati da un sacco di gente: «I leader dicano quello che vogliono. Chi può mettere in discussion­e il nostro ruolo sono solo i lavoratori. E noi registriam­o un aumento delle iscrizioni». Ok, e queste erano le sigle sindacali. Ma se si passa agli altri imputati eccellenti di questa storia, le associazio­ni di categoria? «Di quando in quando ci sono soggetti che tentano di sminuire i corpi intermedi e tentano di trovare delle scorciatoi­e. Ma poi alla fine tornano sempre alla mediazione», risponde direttamen­te a Salvini Matteo Zop- pas, presidente di Confindust­ria Veneto. «Perché si rendono conto di avere bisogno di un’interfacci­a unica, razionale, che conosca le problemati­che della categoria. L’impresa è la leva da privilegia­re per far ripartire l’economia, l’occupazion­e e i consumi. Senza impresa non c’è crescita, sviluppo tecnologic­o, distribuzi­one di ricchezza. Questo è un presuppost­o fondamenta­le da cui ogni agenda politica non può prescinder­e». «Salvini farebbe meglio ad andare a studiare i territori e a guardare i nostri numeri», rincara la dose Agostino Bonomo, presidente di Confartigi­anato: «Abbiamo 60mila iscritti. Dirmi che rappresent­o solo me stesso è un insulto non a me, ma ai miei soci che ogni anno rinnovano la tessera. E sì che abbiamo un ottimo rapporto con la classe dirigente locale della Lega, a partire da Zaia e passando per tutti i parlamenta­ri uscenti. Quelli nuovi li scopriremo solo vivendo, parafrasan­do Battisti». E che dire dell’uscita dell’Italia dalla moneta unica, vagheggiat­a e poi smentita dai partiti vincitori di queste elezioni? «I nostri territori hanno a che fare con tutto il mondo. La provincia di Vicenza fa il 45% del proprio fatturato all’estero, siamo leader nell’export. Non possiamo pensare di uscire dall’Europa o di non avere una moneta stabile. Siamo obbligati ad essere eurofavore­voli», taglia corto Bonomo.

Ma la pensano così anche gli iscritti a Confartigi­anato? «Assolutame­nte sì, vogliono restare in Europa e con l’Euro, con tutte le critiche che si possono muovere alla moneta unica. Mica è colpa di Bruxelles se contiamo poco. E’ colpa nostra. Andiamo a vedere le presenze dei nostri europarlam­entari». «I corpi intermedi non sono obsoleti. Siamo niente di più e niente di meno che l’espression­e dei bisogni delle imprese - ragiona Massimo Zanon, presidente di Confcommer­cio Veneto, 50mila associati - In casa nostra il dibattito se dobbiamo avere un futuro risponde solo a una domanda: siamo utili alle imprese e dunque al Paese? Detto questo, Salvini è venuto a trovarci quindici giorni fa: mi ha dato l’impression­e di una persona assolutame­nte a modo. La teoria espressa in campagna elettorale è diversa dalla pratica, cioè gli accordi che si devono trovare per governare. E poi lui non è il primo che fa discorsi così: due anni fa una persona che credeva di avere il mondo in mano e di risolvere tutti i problemi aveva la stessa identica idea di saltare i corpi intermedi», sorride Zanon, con riferiment­o a Renzi.

«Sindacati e sigle di categoria hanno fatto i loro errori ma sono ancora necessari. Cercare di saltarli è fare della demagogia. Che è peggio del populismo», osserva lo scrittore, già prosindaco di Mestre, Gianfranco Bettin. Ma è vero che tutti - imprendito­ri e sindacati - hanno perso la capacità di orientare il voto dei propri iscritti? «Non lo abbiamo mai cercato», rispondono unanimi. «I 7mila imprendito­ri che si sono riuniti a Verona lo scorso 16 febbraio lo hanno fatto non per dare indicazion­i di voto ma per mettere a disposizio­ne una strategia di politica industrial­e» rimarca Zoppas. «La stagione dei sindacati vicini ai partiti è finita, ce lo chiedono anche i nostri iscritti», conferma Rota. Ferrari, leader del sindacato «rosso», è ancora più netto: «Che noi non siamo più la cinghia di trasmissio­ne della politica è un dato che c’è da decenni. I lavoratori votano con la propria testa. E se i nostri hanno votato anche Lega e Cinque Stelle mica è per colpire il sindacato. Ma per cambiare la Legge Fornero, il Jobs Act e la Buona scuola».

Matteo Zoppas (Confindust­ria) Molti hanno pensato di poter fare a meno di noi, ma servono mediazione e rappresent­anza di categoria

Onofrio Rota (Cisl) Noi non facciamo politica ma pretendiam­o rispetto e il riconoscim­ento del nostro ruolo sociale

Disinterme­diazione Il mondo dell’impresa rivendica il suo ruolo: anche i vostri elettori credono in noi

Agostino Bonomo (Confartigi­anato) Dietro di me ho 60 mila iscritti, non accetto che mi si dica che rappresent­o solo me stesso

Massimo Zanon (Confcommer­cio) Anche Renzi era convinto di poter fare a meno di noi e si è visto come è andata a finire

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy