E «Zaia premier» si spazientisce: «No, ora basta»
Matteo Salvini ha già detto no («Luca VENEZIA sta scrivendo la storia del Veneto, deve chiudere la partita dell’autonomia»). Roberto Maroni ha detto no («Non è ancora il suo momento, adesso non ci sono alternative a Salvini»). E anche Luca Zaia, che poi sarebbe il diretto interessato al centro dell’ipotesi di una candidatura «leghista-non-salviniana» a Palazzo Chigi, ieri è tornato a dire no, per l’ennesima volta e con malcelata stizza: «Il candidato è Salvini, se qualcuno me lo chiede è una richiesta sprecata. Ringrazio tutte le manifestazioni di stima, ma non esiste. Io mi occupo di Veneto e autonomia. La partita è assolutamente chiusa, non abbiamo alternativa, ce n’è una e basta».
Ma se tutti dicono no, perché nei Palazzi della politica continua a circolare questa voce, che peraltro fa più male che bene a Zaia, da un lato, come lui stesso ha ammesso, perché «rischia di dare coloriture politiche sbagliate alla battaglia bipartisan che sto portando avanti sull’autonomia»; dall’altro perché potrebbe finire per incrinare il rapporto tra il governatore e il leader del Carroccio, che vede nell’occasione di questi giorni quella di una vita e non intende farsi insidiare da chicchessia.
Nonostante Renato Brunetta ieri abbia chiarito, una volta di più, che «il candidato premier della coalizione di centrodestra è Salvini», sono proprio gli ambienti di Forza Italia a vagheggiare la discesa in campo di Zaia, sulla base di un semplice calcolo politico: in questa fase tornare al voto sarebbe un suicidio per gli azzurri (schiacciati dalla Lega), così come per il Pd (schiacciato dal Movimento Cinque Stelle), sicché si deve fare di tutto per costruire un governo che duri almeno un anno e poi si vedrà. E chi può convincere i dem a sostenere un esecutivo di centrodestra? Di certo non Salvini, l’acerrimo nemico degli ultimi anni. Ed ecco spuntare Zaia. «E se poi l’ipotesi crea scompiglio nella Lega, tanto meglio» sussurra mefistofelico un colonnello berlusconiano.