INVESTIRE NEL NON TANGIBILE
Sul carro dei vincitori delle elezioni salirà l’innovazione finanziaria che ha per nome «Banca degli investimenti intangibili?». Oggi si discute se si possa fare a meno delle banche locali che perseguono un fine comunitario. È questo un quesito che resta aperto a seguito della crisi delle banche venete. La risposta innovativa va, però, ben oltre il recinto del dibattito tradizionale che vede confrontarsi i sostenitori della banca del territorio, quella che conosce bene i suoi clienti e quindi può valutarne meglio la solvibilità, e i fautori della grande banca extraterritoriale propensa a dare alle sue filiali una mano libera a sostegno dello sviluppo delle imprese locali. In questa disputa s’insinua un protagonista scomodo su cui ha fatto luce il Fondo Monetario Internazionale (FMI). Come riportato dal Financial Times, l’FMI sostiene che l’affermarsi di attività economica ad alta e crescente intensità di conoscenza induce le banche a spostarsi dal credito d’impresa al credito ipotecario, poiché le attività immateriali sono più difficili da utilizzare come garanzia rispetto agli immobili. A confronto dei residui lasciati dalle crisi bancarie, ben più gravida di conseguenze è l’irruzione sulla scena creditizia dei beni intangibili. Cultura aziendale, ricerca, software, capitale umano, reputazione del marchio: questi sono i nuovi protagonisti ai quali l’FMI vorrebbe affiancare una «Banca degli investimenti intangibili».
L’equivalente nel ventunesimo secolo delle casse di risparmio locali di una volta.
Per comprendere le tendenze in materia di produttività, crescita economica e innovazione, gli investimenti immateriali hanno oggi un rilievo almeno pari alle immobilizzazioni materiali come i ponti, i macchinari o le centrali elettriche.
Realizzando quegli investimenti l’impresa mostra di aver cura dei propri dipendenti che, così, si sentono impegnati ad arricchire di valore il lavoro da loro svolto. Opportunità da cogliere e problemi da affrontare si accavallano. Un’impresa può intraprendere costose attività di ricerca e sviluppo, ma i vantaggi possono essere realizzati da altre imprese.
D’altro canto, la riluttanza ad investire in attività immateriali può limitare e perfino soffocare la crescita futura. Gli investimenti nei valori intangibili sono ostici da raccomandare al consiglio di amministrazione quando non è evidente la redditività dell’investimento. Tuttavia, il caso a favore degli investimenti a lungo termine potrebbe anche mostrarsi convincente. Ci sono poi almeno due criticità da superare affinché l’ideale Banca degli investimenti intangibili possa mettere radici in Veneto e operare al meglio.
Se un’impresa acquista un bene intangibile, ad esempio un brevetto, esso è classificato come attività in bilancio. Ma se quel bene è sviluppato al suo interno lo si classifica come costo da dedursi dai profitti.
Una società che persegue una strategia d’innovazione basata su acquisizioni apparirà, dunque, più redditizia e ricca di attività immateriali rispetto a un’impresa simile che sviluppa internamente le proprie innovazioni. La seconda criticità riguarda i contenuti degli studi di economia aziendale. Penalizza l’innovazione il predicare che il prezzo delle azioni è la migliore rappresentazione del valore sottostante di una società, sorvolando sul fatto che i mercati tendono a punire le imprese per gli investimenti immateriali di lungo respiro e, al contrario, premiarle per quanto remunerano gli azionisti nel breve termine.