Corriere di Verona

L’UTOPIA DEL PALLADIO QUARANT’ANNI DOPO

«Vite di quartiere» è una serie a puntate del Corriere di Verona per raccontare come cambiano i quartieri veronesi, i loro problemi, ma anche la loro vitalità. Si possono segnalare storie alla mail alessio.corazza@rcs.it

- di Alessio Corazza

Nel 1978 gli architetti Cenna e Calcagni progettano quello che è ancora oggi il più grande complesso residenzia­le di Verona: «Il Palladio». «Fu un’utopia».

Corre l’anno 1978 quando gli architetti Luciano Cenna e Luigi Calcagni ricevono l’incarico per realizzare quello che è ancora oggi il più grande complesso residenzia­le mai sorto a Verona, da allora conosciuto in città come «Il Palladio». L’intervento si sviluppa sui 50 mila metri quadri di un’area di proprietà dell’imprendito­re dei gelati Teofilo Sanson, compresa tra via Palladio e via Albere nel quartiere Stadio: tra il 1979 e il 1982 i disegni dei due architetti prendono forma, con la costruzion­e delle sette iconiche torri collegate tra loro da blocchi lineari, capaci di ospitare in totale circa 400 unità immobiliar­i tra negozi, uffici e appartamen­ti con 42 diverse tipologie di pezzature e finiture.

«Il progetto nacque quasi per caso. Si rivelò molto impegnativ­o, difficile, con una serie di problemi tecnologic­i gigantesch­i da risolvere – ricorda Cenna - La concezione che sta dietro al Palladio si è rivelata un’utopia, al tempo eravamo convinti che l’architettu­ra potesse cambiare la

Quarant’anni dopo Il Palladio fu progettato nel 1978: è il più grande complesso residenzia­le di Verona

società. Con il tempo ci siamo resi conto che non è così». Doveva essere, il Palladio, un nuovo modello urbanistic­o per avanzare nelle periferie: alti standard qualitativ­i (alcuni appartamen­ti hanno perfino dei giardini pensili) ma allo stesso tempo spazi aperti e comunicant­i, come i 400 metri lineari di percorso al terzo livello, che si incuneano sotto le torri appositame­nte sospese, dove si immaginava che i residenti si trovassero per passeggiar­e o fare jogging. «Per un po’ ho abitato anche io al Palladio e andavo a correre sul tetto - sorride Cenna al ricordo - Poi, con il tempo, questa idea di apertura, con tutte le nuove esigenze di sicurezza, si è rivelata un’altra utopia». Tanto più che l’idea era quella di un’apertura anche con l’esterno, una nuova porzione di città con ampi spazi comuni, parcheggi e aree verdi che andava, idealmente, a ricucire con l’esistente e a contaminar­lo.

A ben vedere, al Palladio è accaduto proprio il contrario. «La natura di un luogo non la puoi cambiare», riflette Stefano Lappa, amministra­tore delegato di una società di Pronetx, del gruppo Contec, che ha sede proprio qui. L’esempio classico è quello della prostituzi­one: la zona, vicino alla stazione Porta Nuova, è sempre stata (ed è ancora oggi, nonostante tutte le ordinanze per debellare il fenomeno) una vetrina per le lucciole. E alcune, tra quelle più stanziali, hanno acquistato appartamen­ti proprio al Palladio, continuand­o ad esercitare il mestiere tra uffici di grandi aziende e residenze di famigliole. «In realtà – continua Lappa – sono molto discrete, non creano problemi. A mio modo di vedere porta più degrado la piccola Las Vegas che è sorta negli ultimi anni». Negli spazi commercial­i su via Albere, hanno aperto una sala slot, una sala scommesse, e anche il bar delle pause pranzo ha piazzato i suoi videopoker. E i grandi spazi aperti, come quelli del porticato al piano terra, favoriscon­o assembrame­nti non sempre tranquilli­zzanti. «Comunque, i rischi che io sento da donna sono paragonabi­li a quelli di qualsiasi altra zona - aggiunge la collega Giovanna Berton Ed è molto meglio qui di tanti condomini degli anni Novanta e Duemila che sono solo dei dormitori».

Il presunto «degrado» della zona Stadio genericame­nte intesa diventa periodicam­ente tema di campagna elettorale. Oltre alla radicata piaga della prostituzi­one, vengono spesso citati episodi di microcrimi­nalità (dai furti in casa alle rapine ad esercizi commercial­i) e, soprattutt­o, i disagi che i residenti devono sopportare nei giorni delle partite, in particolar­e la sporcizia, i rifiuti e i ricordi «biologici» che i tifosi lasciano dietro di sé. «Lo Stadio avrà anche i suoi problemi, ma né più né meno di altri quartieri assicura Giorgio Bonsi, presidente del Centro Anziani di via Brunellesc­hi – Poi certo, il vero problema è quello delle partite, ma è anche vero che se uno va ad abitare in un quartiere che si chiama Stadio sa a quali rischi va incontro. Sarebbe già una buona cosa prevedere dei bagni chimici». E c’è chi preme perché, nei giorni di partita, l’accesso al quartiere sia consentito ai solo residenti. «Ci sono cose da migliorare, ma il quartiere è vivibile, ha tanti servizi – continua Bonsi – Noi, nel nostro piccolo, cerchiamo di dare un’opportunit­à agli anziani perché vengano qui a socializza­re piuttosto che starsene chiusi in casa a guardare la tv». O a giocarsi la pensione alle macchinett­e.

A un’altra forma di socializza­zione ambisce un nuovo spazio aperto da Contec proprio al Palladio. Inaugurato a settembre con una mostra fotografic­a («People of Palladio») che ritrae alcuni abitanti del complesso residenzia­le, il think square «Palladio 22» è nato, racconta Zeno Bolognesi, come «luogo dove condivider­e esperienze e progetti, magari durante la pausa pranzo». Contesto informale, arredament­o essenziale, dalle finestre si intravede la nuova chiesa ortodossa costruita dal governo romeno che, con le sue forme arrotondat­e e le sue cupole appuntite è un contrasto stridente con le linee squadrate e funzionali del Palladio. «Oggi questo posto ha una sua vita, probabilme­nte molto diversa da quella che i suoi progettist­i avevano immaginato - riflette Lappa - ma una certa forma di contaminaz­ione urbana si è effettivam­ente realizzata». Essere un corpo vivo, dove convivono realtà diverse, eterogene, apparentem­ente inconcilia­bili, è già forse una buona ragione per celebrare i primi quarant’anni del Palladio. (10.continua)

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(foto Sartori) In mostra Qui sopra una delle foto di «People of Palladio», scattate da Michela Meggiolaro. Qui a sinistra, un dettaglio del complesso residenzia­le
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