LA FALLA? LE NORME
Èdi ieri la sentenza del GUP di Roma con la quale è stata dichiarata l’incompetenza per territorio di quel Tribunale a giudicare gli imputati nel processo per le tristi vicende di Veneto Banca, e conseguentemente ordinata la trasmissione degli atti all’ufficio del pubblico ministero presso il Tribunale di Treviso. Non conosciamo ancora le motivazioni della decisione, ma rimane fermo il fondamentale principio secondo cui le sentenze si rispettano e devono trovare puntuale esecuzione, anche se ciò non le sottrae ovviamente al libero dibattito e alla civile espressione del diritto di criticarle. Ancor più ciò vale allorché non è della fondatezza e condivisibilità della sentenza che si intende discutere quanto delle sue conseguenze che, in questo caso, possono risultare particolarmente allarmanti già solo per le carenze strutturali degli Uffici Giudiziari chiamati a sopportare l’onere di un processo così complesso, per tipologia e vastità dei temi probatori da affrontare e dei documenti da esaminare, con un numero elevatissimo di parti civili ed elevata rilevanza economico-sociale degli interessi in gioco. Ma ancor più dei problemi organizzativi e di reperibilità delle risorse necessarie, ad inquietare sono le inevitabili ricadute sui tempi del processo con gli immediati e facilmente percepibili effetti sull’insopportabile prolungamento delle attese dei tanti utenti che chiedono una risposta di giustizia.
Preoccupanti, quindi, le prospettive in ordine al maturare dei termini di prescrizione, che sono destinate a oggettivamente rafforzarsi a seguito della decisione. E qui tornano in gioco le polemiche sul senso e sui limiti che dovrebbe, o potrebbe, avere l’effetto del trascorrere del tempo sull’accertamento dei reati e la punizione dei rei. Così se, ad esempio, per la corruzione si è detto che (data la generale copertura di cui beneficiano i responsabili) la prescrizione dovrebbe cominciare a decorrere dall’acquisizione della notizia di reato, sembra legittimo domandarsi se non sarebbe opportuno intervenire sulla normativa per neutralizzare tutti i tempi morti determinati da decisioni meramente processuali come questa. Nel nostro caso due considerazioni si impongono all’attenzione del nuovo Parlamento: 1) vista la ricorrenza e problematicità dei quesiti in tema di competenza in materia di reati di siffatta tipologia (ostacolo alla vigilanza in materia bancaria) si potrebbe pensare ad una norma che, anche ulteriormente precisando ove necessario la fattispecie di reato, individui in modo netto e indiscutibile l’organo giudicante competente; 2) soprattutto, ed in questo caso intervenendo in termini ben più generali e con effetti di assai più vasta portata, si dovrebbero mettere a punto procedure specifiche di individuazione del giudice competente, definitive e non più revocabili in dubbio, a fatti e imputazioni invariate, ove occorra prevedendo a richiesta, da esercitare però entro un termine ben preciso, un intervento immediato della Corte di Cassazione (come già avviene ad es nel processo civile con il regolamento di competenza mentre ad oggi nel processo penale è contemplato solo nel caso di conflitto tra due giudici).
L’altra norma indispensabile riguarderebbe appunto il calcolo dei termini della prescrizione, da cui dovrebbe escludersi il tempo «sprecato» per le fasi processuali conclusesi con dichiarazioni di incompetenza. L’orologio della prescrizione dovrebbe cioè fermarsi e riprendere a decorrere solo dal momento della ripresa davanti al giudice «competente» (come già avviene ad esempio, almeno in parte, in materia di termini di custodia cautelare in caso di regresso del procedimento o di rinvio ad altro giudice). Così facendo si potrebbe evitare in futuro il ripetersi di conseguenze così gravi come quelle temute per il processo di Treviso, dato l’elevato rischio che, con la normativa vigente, e la pluralità di organi giudicanti chiamati nel tempo ad occuparsi dello stesso processo, si possano ulteriormente verificare simili decisioni contrastanti.