Corriere di Verona

Se il rugby va (ancora) in meta con le squadre «mescolate»

- di Daniele Rea

La palla indietro, sempre indietro. La testa avanti, anche quando si tratta di pensare e non solo di sfondare e passare la linea di meta avversaria. Giocare, divertirsi, crescere. Fare gruppo, imparare a stare in riga, difendere i propri spazi, rispettare quelli altrui. Assimilare il concetto di vittoria ma imparare a perdere, ché nella vita alla fine serve di più. Palla indietro e testa avanti, la regola base del rugby, quella che ti fa capire che se ami giocare da solo puoi passare al tennis anche subito. Niente retorica ma la palla ovale, la «palla rotta» che se provi a metterla a terra prende rimbalzi simili a un sismografo impazzito, insegna ancora una volta a tutto lo sport come educare. Almeno come provarci. E’ di questi giorni la proposta, rivoluzion­aria, del Comitato regionale veneto alla Fir: dall’Under 14 in giù se vi è una palese e troppo evidente disparità tra le due squadre in campo si ferma tutto e i giocatori si mischiano. Perché vincere è importante, come no, ma a quell’età è più importante partecipar­e. Fare gruppo, insomma. Ma, anche, è importante imparare a non stravincer­e con punteggi tipo 80-0, che non servono a niente e a nessuno. Non servono a chi stravince perché penserà di essere un fenomeno e magari non è così. Ma non serve neppure a chi straperde, perché l’umiliazion­e di essere irriso per le proprie debolezze non ti aiuterà a diventare un adulto, giovane o meno giovane, migliore. Insomma, il rugby ci prova: troppa disparità in campo? Benissimo, le squadre si mescolano e chi fino a un momento fa era avversario diventa compagno e viceversa. La proposta, come detto, è rivoluzion­aria e, se verrà accettata dalla Federazion­e nazionale, piomberà all’interno della pratica sportiva giovanile come un tornado. Con un aspetto educativo pesantissi­mo che servirà a tutti senza dubbio alcuno. Servirà ai ragazzini, che non avendo filtri sono umani «allo stato puro» e cioè individual­isti, cinici e a volte feroci. Servirà agli allenatori, che spesso spingono la squadra a non mollare di un centimetro nemmeno a fronte di un vantaggio imbarazzan­te. Servirà anche ai genitori in tribuna, che troppo spesso vedono nel figlio, anche a 7 anni, più un futuro campione che un bambino desideroso di fare uno sport e basta. La proposta, se avrà l’ok federale, potrebbe partire dalla prossima stagione. Un tornado, si diceva. E una proposta simile, forse, poteva arrivare solo dalla palla ovale. Sport di gruppo per eccellenza, inventore del «terzo tempo», terreno di coltura della fatica e quindi essenza propria del Veneto. Sport dove per 80 minuti ci si risparmia nulla, dove ci può scappare la scazzottat­a ma finita la partita tutto resta sul prato. Perché avversari sempre, nemici mai. Giocare, divertirsi, crescere: il rugby prova a marcare la meta più difficile della sua storia.

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