Corriere di Verona

Millennial­s, vita da iperconnes­si «Smartphone prima dei 12 anni»

- di Enrico Presazzi

I Millennial­s veronesi sono iperconnes­si, sempre e ovunque, anche di notte. È il risultato di una ricerca su 1.314 alunni di istituti di città e provincia tra gli 11 e 17 anni: oltre la metà di loro possiede lo smartphone prima dei 12 anni e la tv è scomparsa dall’orizzonte mediatico.

Iperconnes­si, sempre e ovunque. Anche di notte. Sono i millennial­s veronesi ritratti dalla recente indagine realizzata dal docente universita­rio di Sociologia dei processi culturali Riccardo Giumelli, con la collaboraz­ione dell’Ufficio scolastico provincial­e e dell’Aiart (Associazio­ne cittadini mediali).

Una ricerca che, tra aprile e novembre dello scorso anno, ha interessat­o 1.314 alunni di tredici istituti di città e provincia di età compresa tra gli 11 e i 17 anni, presentata ieri ai consiglier­i comunali della Commission­e Politiche per l’Istruzione, presieduta da Maria Fiore Adami. «Possiamo dire che il 99,3% degli studenti veronesi è connesso. Per loro non esiste più il digital divide: la connession­e è indipenden­te dalle condizioni socio-economiche e culturali», ha spiegato il sociologo.

Occhi puntati sullo schermo dello smartphone (oltre la metà degli intervista­ti lo possiede prima dei 12 anni) per chattare con gli amici, vedere serie online, ascoltare musica e giocare. «Ormai anche la tv è sparita dal loro orizzonte mediatico» ha puntualizz­ato l’esperto. E per avere un’idea di quanto sia marcata la differenza tra questa generazion­e e quelle precedenti, basta dare un’occhiata ai social più utilizzati: Facebook è fermo al 27% mentre Whatsapp (96%) e Instagram (71%) spopolano. «Whatsapp ha un forte potere di creare cerchie che portano a vere e proprie “lotte” per l’inclusione, Instagram invece è la loro finestra sul mondo» ha proseguito Giumelli. Ragazzi che nel 67% dei casi hanno dichiarato di utilizzare i social «da solo in camera mia» e nel 18% «anche di notte». «Siamo di fronte al cosiddetto fenomeno del vampiring - ha ricordato -. L’utilizzo del cellulare aumenta nelle ore notturne. Più di un giovane su due ha ammesso di essere rimasto sveglio fino a tardi sui social pur sapendo di doversi alzare presto per andare a scuola».

Dati che impongono una riflession­e: «Io non voglio demonizzar­e, dobbiamo piuttosto capire come accompagna­re questo sviluppo. Perché dalla ricerca emerge un anello debole: i genitori». Basti pensare alle domande relative al cyberbulli­smo: «In quale occasione ne hai sentito parlare?». Nel 49% dei casi i ragazzi dichiarano di averne parlato a scuola («Qui a Verona il sistema è davvero molto attento al problema»), nel 41% sui media tra giornali, tv e Internet. Mentre in famiglia se ne è discusso solo per il 9% degli intervista­ti. «Purtroppo molto spesso i ragazzi su questi argomenti rischiano di saperne molto di più dei loro stessi genitori», ha riconosciu­to Giumelli. Eppure il cyberbulli­smo è presente anche in riva all’Adige: il 15% degli studenti dichiara di averlo subito, mentre il 42% dichiara di conoscere almeno una vittima («Potrebbe trattarsi dello stesso soggetto bullizzato, ma anche di una forma di autoingann­o: non dico di me, ma faccio passare il messaggio attraverso un altro amico»).

E non si tratta di fenomeno di genere. «Se il bullismo di solito riguardava soprattutt­o i maschi, il cyberbulli­smo riguarda in parti uguali maschi e femmine - ha dichiarato il professore -. Inoltre non ha confini, si estende oltre il perimetro della scuola e, potenzialm­ente, colpisce in ogni momento e in ogni luogo».

Nella maggior parte dei casi (50%) si tratta di insulti (flaming), ma al secondo posto della classifica (17%) si posiziona l’esclusione. «Abbiamo saputo che nel corso della ricreazion­e scattano veri e propri “mercati neri” del like o del gruppo whatsapp dove si

Il prof Purtroppo emerge che non c’è senso del limite per i ragazzi

offrono appunti o merendine in cambio dell’inseriment­o in una chat o di un “mi piace” sul proprio profilo». A preoccupar­e, poi, il fenomeno del catfish (sostituzio­ne di persona) e del sexting (divulgazio­ne di immagini private a sfondo sessuale). «Una ragazza, durante i focus group ha lanciato un appello al mondo degli educatori: ci dovete insegnare il senso del limite - ha rivelato il sociologo -. Purtroppo i social lo hanno azzerato». E ha portato come esempio la testimonia­nza di una studentess­a: «Una mia amica è stata vittima di cyberbulli­smo da parte di un’altra ragazza che l’ha insultata. Si sono incontrate in piazza e si sono picchiate. I ragazzi che erano attorno hanno fatto il video e hanno creato una pagina Instagram in cui l’hanno postato».

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Professore Riccardo Giumelli, sociologo

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