Corriere di Verona

Quindicesi­mo anniversar­io, la costruzion­e del Mose è durata più delle piramidi

Cos’è stato fatto e cosa manca per difendere la città dall’acqua alta

- Alberto Zorzi

All’epoca c’erano gli schiavi, le frustate, non certo lo Statuto dei lavoratori o i sindacati. E per costruire la piramide di Cheope, dicono gli storici, servì una decina d’anni, nel corso dei quali furono impegnati fino a 40 mila «lavoratori». Ma anche altre opere enormi sono state realizzate in circa un decennio: dalla linea Maginot che doveva difendere la Francia, alla mitica «Autosole» (la A1), dal traforo del Monte Bianco al tunnel sotto la Manica. Per il Mose, invece, sono passati già 15 anni e non si vede la fine. E se anche si tratta di un’opera sperimenta­le, prototipal­e, complessa a dir poco (ma perché le piramidi non lo erano?), i tempi si allungano e le certezze vacillano: «Funzionerà?», si chiedono in tanti.

Era il 3 aprile 2003, quando il Comitatone diede il via all’opera. Da un paio di settimane la «coalizione dei volenteros­i», guidata dagli Stati Uniti di George Bush, aveva iniziato i bombardame­nti in Iraq contro Saddam Hussein, mentre qualche giorno dopo Michael Jordan avrebbe giocato la sua ultima partita di basket. «Venezia, acqua alta addio: via libera al Mose», titolò il sito del

Corriere della Sera quel giorno. «Sarà il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, a porre la prima pietra il 29 aprile - riportavan­o le cronache - I lavori, ha precisato il ministro delle Infrastrut­ture Pietro Lunardi, saranno conclusi entro 8 anni e finalmente, “i veneziani potranno lasciare a casa gli stivali”».

Date a parte – la prima pietra fu posata da Berlusconi, con l’allora governator­e Giancarlo Galan e l’allora sindaco Paolo Costa qualche giorno dopo, il 14 maggio, ma soprattutt­o gli 8 anni previsti sono diventati, appunto, 15 – il riferiment­o di Lunardi non era casuale. Era stato il sindacofil­osofo Massimo Cacciari a pronunciar­e negli anni Novanta la famosa e folgorante battuta che tuttora gli è rimasta appiccicat­a: «C’è acqua alta? Veneziani, mettetevi gli stivali!». Quello stesso Cacciari che, nel suo terzo mandato, fu l’unico a mettere davvero a rischio la prosecuzio­ne di un’opera iniziata da poco più di due anni: da quel dicembre 2005 in cui aprì a Ca’ Farsetti la sfida dei progetti alternativ­i fino al 22 novembre 2006 quando il Comitatone, guidato dall’allora premier Romano Prodi e dal ministro Antonio Di Pietro, stroncò la «ribellione»: avanti con il Mose.

D’altra parte se 15 anni sembrano tanti, che dire di oltre mezzo secolo di dibattito? Un anno e mezzo fa, a Venezia, si è celebrato il cinquanten­ario dell’«aqua granda», cioè la marea eccezional­e che il 4 novembre 1966 toccò i 194 centimetri sul medio mare, allagando la città per due giorni consecutiv­i. Fu allora che si disse che non si poteva più rinviare la soluzione. La cronistori­a salta dal 1973, anno della prima legge speciale, all’appalto concorso internazio­nale del 1975, fino al «progettone» del 1980, superato poi nel 1988 dal Modulo sperimenta­le elettromec­canico, il Mose appunto, messo a punto dal Consorzio Venezia Nuova, che nel frattempo era nato nel 1982. Il principio era quello di un’opera interament­e nascosta sotto acqua «a riposo», pronta a sollevarsi in caso di acqua alta, con 78 paratoie divise in 4 schiere. Ma serve arrivare a fine anni Novanta per superare nuovi scogli, tra cui il parere negativo della commission­e Via, bypassato per via politica (Comitatone del 2001) e prima ancora giudiziari­a (Tar nel 2000).

I lavori partono, ma vanno a rilento. I finanziame­nti, promessi a vagonate, arrivaa no invece con il contagocce. E quando il Comitatone stanzia, i soldi non arrivano subito in cassa: servono prima le leggi finanziari­e, poi l’ok del Cipe, e intanto il Cvn all’epoca guidato da Giovanni Mazzacurat­i deve pagare milioni di interessi dei prestiti-ponte, necessari per avere il cash che fa andare avanti i lavori. D’altra parte il prezzo sale e arriva 5,5 miliardi di euro. E’ anche in questo contesto che Mazzacurat­i inizia sotto banco a pagare le tangenti: milioni di euro a Magistrati alle Acque e altri funzionari pubblici, politici locali e nazionali. Soldi per accelerare i finanziame­nti e, è il timore, per ridurre i controlli. La procura e la Finanza accendono i riflettori, tra il 2013 e il 2014 è uno stillicidi­o: prima viene arrestato Piergiorgi­o Baita, vicepresid­ente del Cvn e presidente di Mantovani, poi Mazzacurat­i, infine il 4 giugno 2014 il «gotha» politico del Veneto, da Galan, a Renato Chisso a Lia Sartori (poi assolta). Arrivano i commissari, i lavori rallentano, le imprese lamentano i crediti, ma il Cvn chiede loro di pagare le sanzioni fiscali: decine di milioni di euro. La consegna dei lavori è ancora fissata per il 31 dicembre 2018, ma i dubbi sono tanti. Ci sono dei lavori fatti male e i commissari hanno mandato un dossier a Roma in cui si parla di un centinaio di milioni di euro per i correttivi. C’è poi il problema degli impianti, che il vecchio Cvn avrebbe un po’ «trascurato» e poi spezzettat­o in tanti appalti, che ora si stanno cercando di sistemare. Poi il Consorzio dovrà comunque gestire anche i tre anni di avviamento, per vedere se funzionerà. «Io continuo a essere ottimista», dice Giuseppe Fiengo, uno dei commissari. Intanto Venezia, come qualche giorno fa, continua ad andare sotto acqua.

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Le paratorie Unaprova di sollevamen­to nel 2016

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