Manodopera sfruttata: preso il caporale
Sfruttava manodopera per un volume d’affari da oltre un milione annuo. Incastrato dalla Finanza
Caporalato: la Finanza VERONA di Soave ha arrestato per sfruttamento di manopora il rappresentante legale di 5 coop il cui giro d’affari è di 1,2 milioni all’anno.
Cambiano i protagonisti, ma, a un anno di distanza dai primi arresti, le dinamiche rimangono sempre le stesse. Inquietanti nel confermare un fenomeno sempre più radicato nel territorio.
Cooperative con sede nell’Est Veronese che reclutano immigrati da sfruttare come braccianti nei capannoni degli allevamenti dell’Emilia Romagna. Nel marzo del 2017 erano state le Fiamme Gialle di Forlì a risalire a realtà veronesi gestite da nordafricani che fornivano la manodopera per la gestione degli stabilimenti agricoli romagnoli. Ora, invece, sono stati i colleghi della compagnia di Soave a monitorare i traffici di un marocchino di 56 anni residente a San Bonifacio, rappresentante legale di cinque coop il cui giro d’affari stimato è di circa 1,2 milioni all’anno. Niente a che vedere con la prima inchiesta. L’indagine coordinata dal sostituto procuratore Maria Beatrice Zanotti ha portato all’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari da parte del gip Raffaele Ferraro che ha ritenuto concreto il rischio di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato. E ieri mattina, gli uomini del tenente Alberto Saggio, si sono presentati a casa dell’imprenditore per arrestarlo. Secondo l’accusa, l’uomo sarebbe arrivato a gestire fino a cento stranieri (per la maggior parte maghrebini e nigeriani), impiegandoli in lavori di facchinaggio e pulizia nei capannoni aziendali del Ferrarese, con orari di oltre 14 ore al giorno e senza alcun riposo settimanale. Sarebbe stato lo stesso imprenditore a fornire gli alloggi ai «suo» braccianti: fatiscenti ruderi isolati in campagna (sia in Emilia che nel Veronese) in cui venivano sistemate fino a 30 persone in condizioni tutt’altro che sane dal punto di vista igienico. E per trasportarli sul luogo di lavoro, l’autista affrontava fino a 750 chilometri al giorno, mettendo a repentaglio la propria incolumità, quella dei braccianti e quella degli altri utenti della strada. In un’occasione, l’anno scorso, il furgone sarebbe rimasto coinvolto in un incidente stradale mortale in Emilia Romagna. Nel corso delle indagini sarebbe emerso che venivano utilizzati documenti intestati a immigrati regolari per ottenere la prescritta certificazione contributiva richiesta dalle aziende che impiegavano la manodopera. In realtà, però, le coop del marocchino (alcune con sede a Bussolengo e Zimella, ma di fatto gestite da San Bonifacio) fornivano soggetti diversi da quelli indicati sui documenti, a volte anche clandestini.
E per l’uomo, oltre all’accusa di illecita intermediazione e sfruttamento del lavoro è scattata quella di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Ma gli accertamenti delle Fiamme Gialle non sono terminati: sotto la lente ora vi sono tutti gli aspetti di carattere tributario e contributivo relativi alle cinque società amministrate dal «caporale». Per lui, da ieri, sono scattati i domiciliari.
Modus operandi Avrebbe anche truccato i documenti dei clandestini. Ora è ai domiciliari