Corriere di Verona

Manodopera sfruttata: preso il caporale

Sfruttava manodopera per un volume d’affari da oltre un milione annuo. Incastrato dalla Finanza

- di Enrico Presazzi

Caporalato: la Finanza VERONA di Soave ha arrestato per sfruttamen­to di manopora il rappresent­ante legale di 5 coop il cui giro d’affari è di 1,2 milioni all’anno.

Cambiano i protagonis­ti, ma, a un anno di distanza dai primi arresti, le dinamiche rimangono sempre le stesse. Inquietant­i nel confermare un fenomeno sempre più radicato nel territorio.

Cooperativ­e con sede nell’Est Veronese che reclutano immigrati da sfruttare come braccianti nei capannoni degli allevament­i dell’Emilia Romagna. Nel marzo del 2017 erano state le Fiamme Gialle di Forlì a risalire a realtà veronesi gestite da nordafrica­ni che fornivano la manodopera per la gestione degli stabilimen­ti agricoli romagnoli. Ora, invece, sono stati i colleghi della compagnia di Soave a monitorare i traffici di un marocchino di 56 anni residente a San Bonifacio, rappresent­ante legale di cinque coop il cui giro d’affari stimato è di circa 1,2 milioni all’anno. Niente a che vedere con la prima inchiesta. L’indagine coordinata dal sostituto procurator­e Maria Beatrice Zanotti ha portato all’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliar­i da parte del gip Raffaele Ferraro che ha ritenuto concreto il rischio di inquinamen­to delle prove e di reiterazio­ne del reato. E ieri mattina, gli uomini del tenente Alberto Saggio, si sono presentati a casa dell’imprendito­re per arrestarlo. Secondo l’accusa, l’uomo sarebbe arrivato a gestire fino a cento stranieri (per la maggior parte maghrebini e nigeriani), impiegando­li in lavori di facchinagg­io e pulizia nei capannoni aziendali del Ferrarese, con orari di oltre 14 ore al giorno e senza alcun riposo settimanal­e. Sarebbe stato lo stesso imprendito­re a fornire gli alloggi ai «suo» braccianti: fatiscenti ruderi isolati in campagna (sia in Emilia che nel Veronese) in cui venivano sistemate fino a 30 persone in condizioni tutt’altro che sane dal punto di vista igienico. E per trasportar­li sul luogo di lavoro, l’autista affrontava fino a 750 chilometri al giorno, mettendo a repentagli­o la propria incolumità, quella dei braccianti e quella degli altri utenti della strada. In un’occasione, l’anno scorso, il furgone sarebbe rimasto coinvolto in un incidente stradale mortale in Emilia Romagna. Nel corso delle indagini sarebbe emerso che venivano utilizzati documenti intestati a immigrati regolari per ottenere la prescritta certificaz­ione contributi­va richiesta dalle aziende che impiegavan­o la manodopera. In realtà, però, le coop del marocchino (alcune con sede a Bussolengo e Zimella, ma di fatto gestite da San Bonifacio) fornivano soggetti diversi da quelli indicati sui documenti, a volte anche clandestin­i.

E per l’uomo, oltre all’accusa di illecita intermedia­zione e sfruttamen­to del lavoro è scattata quella di favoreggia­mento dell’immigrazio­ne clandestin­a. Ma gli accertamen­ti delle Fiamme Gialle non sono terminati: sotto la lente ora vi sono tutti gli aspetti di carattere tributario e contributi­vo relativi alle cinque società amministra­te dal «caporale». Per lui, da ieri, sono scattati i domiciliar­i.

Modus operandi Avrebbe anche truccato i documenti dei clandestin­i. Ora è ai domiciliar­i

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A condurre le indagini sul campo è stata la Finanza. Ma gli accertamen­ti delle Fiamme Gialle non sono terminati: sotto la lente ora vi sono tutti gli aspetti di carattere tributario
L’indagine A condurre le indagini sul campo è stata la Finanza. Ma gli accertamen­ti delle Fiamme Gialle non sono terminati: sotto la lente ora vi sono tutti gli aspetti di carattere tributario

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