Asco, il Tar boccia il piano leghista e spiana la strada al controllo dei privati
I giudici: Holding-Tlc illegittimo. I Comuni dovranno vendere o tentare la fusione con Piave
Il piano dei Comuni leghisti per mantenere il controllo su Asco, la holding trevigiana che domina (anche) su Ascopiave - il «forziere» che vanta ricavi per mezzo miliardo di euro specializzato nella distribuzione e nella vendita di gas - crolla sotto i colpi di una sentenza del Tar dalle conseguenze imprevedibili. Non ultima, la possibile scalata da parte dei privati.
Un passo indietro. La quasi totalità delle quote della casamadre sono spartite tra novanta Comuni del Trevigiano. I sindaci, però, nei mesi scorsi si sono ritrovati a dover fare i conti con il decreto Madia, che impone la vendita delle società a controllo pubblico a meno che esse non abbiano finalità di interesse generale (che i privati non svolgerebbero) oppure siano in Borsa. Quindi la strada più ovvia, per evitare di dover rinunciare al (proficuo) affare del gas, era quella di una «fusione inversa» in Ascopiave, la quotata di cui la holding detiene il 61 per cento. Con una controindicazione: finendo in Piazza Affari, gli attuali controllori del Gruppo avrebbero visto scendere la propria quota al 30 per cento, insufficiente per fare tutto da soli. Inaccettabile, specie per la Lega del segretario veneto Toni Da Re che non ha mai fatto mistero di non voler rinunciare a una presa diretta sulla galassia Asco. Così, per non vendere le quote e allo stesso tempo mantenere il potere decisionale, si era trovato un escamotage: definire la controllante come una società con fini istituzionali. L’unico ostacolo era costituito dal fatto che Asco Holding è, di fatto, soltanto una grande scatola senza neppure dipendenti. Per questo era stato deciso di fonderla non nella Piave ma nella controllata Asco Tlc, che si occupa di fibra ottica ma che ha del personale proprio.
Nonostante il parere contrario di alcuni sindaci, ventisei consigli comunali nei mesi scorsi avevano approvato le delibere che autorizzavano il piano, che poi avrebbe dovuto ottenere il via libera definitivo dall’assemblea dei soci.
A mettere i bastoni tra le ruote, ci ha pensato però la Plavisgas Srl, composta dai soci privati che nel 2016 acquisirono l’8,6 per cento delle quote della capogruppo direttamente da alcuni Comuni che le avevano vendute per fare cassa. La Plavisgas ha fatto ricorso al Tar sostenendo che le delibere andavano annullate perché «le partecipazioni dei Comuni in Asco Holding difetterebbero del vincolo funzionale del perseguimento delle finalità istituzionali», visto che la vendita del gas non si limita ai territori amministrati dai soci. E questo dimostra - si legge nella sentenza pubblicata ieri dal tribunale amministrativo - «la natura prettamente commerciale di detta attività». Lo stesso vale per «i servizi di telecomunicazione svolti per il tramite della Tlc» visto che propone «prestazioni reperibili sul mercato ed eseguibili da una pluralità di operatori privati». Fin qui la tesi degli avvocati Vittorio Domenichelli e Guido Zago, che tutelano gli interessi dei soci privati e che accusano i Comuni (quasi tutti a guida leghista) di aver ignorato ogni avvertimento di illegittimità preferendo adeguarsi «a una scelta di carattere politico operata al di fuori dell’ente locale e risanti. spondente alla sola sviata logica di mantenere una posizione di controllo e di potere, cioè proprio quella logica che il decreto Madia avrebbe inteso sradicare».
Il Tar ha dato ragione alla Plavisgas. I soci pubblici non possono garantire servizi di interesse generale attraverso Asco e Tlc per via del «carattere estremamente frammentato di tali partecipazioni (ciascun Comune detiene una quota minima, ndr) e la mancanza di convenzioni, patti parasociali o di sindacato...». Al di là dei tecnicismi, conta la sostanza: la sentenza afferma che le amministrazioni hanno illegittimamente mantenuto le proprie partecipazioni mentre avrebbero dovuto alienarle o deliberare la fusione con la quotata Ascopiave. E per questo tutte le delibere sono state annullate.
Le conseguenze sono pe- Per prima cosa i consigli comunali dovranno votare un nuovo ordine del giorno, che tenga conto della decisione dei giudici. «Se vogliono mantenere le loro partecipazioni - dice l’avvocato Domenichelli non possono far altro che votare per la fusione con Ascopiave».
In realtà, si procederà sul filo dell’interpretazione legale. I termini per quotarsi fissati dal decreto Madia, infatti, sono scaduti il 23 marzo, e questo costringerebbe i Comuni a vendere. Secondo alcuni avvocati, però, il fatto che sia intervenuta una sentenza del Tar concede ai soci il tempo di optare anche per la quotazione, ma resta da capire se questo lascerà loro anche la facoltà di conservare le partecipazioni. In ogni caso, si spalancano le porte ai privati, con la possibilità per Plavisgas o per qualunque altro investitore di prendere il controllo del Gruppo.
«Plavisgas - dice l’amministratore delegato Oscar Marchetto - esprime rammarico nel vedere che un grande patrimonio della provincia di Treviso è posto a rischio da azioni illegittime. Auspichiamo che quei sindaci che hanno a cuore il patrimonio dei loro Comuni e vogliono conservare alla provincia di Treviso un’impresa preziosa, assumano l’iniziativa sulle basi di un confronto leale tra tutti i soci prima che la situazione sia compromessa in modo irreparabile».