«Nostro figlio si uccise a 16 anni perché vittima dei bulli a scuola»
I genitori di Livio: «Schiaffeggiato in un video, era lo zimbello dello scuola»
Livio Cinetto si tolse la vita a 16 anni, VERONA nel giugno del 2012. E, a distanza di sei anni, i genitori Roberta e Stefano hanno deciso di parlare. Perché dietro la tragedia di un lutto improvviso, si nasconde un sospetto così terribile da non riuscire nemmeno a pronunciarne il nome: bullismo. «Era diventato lo zimbello della classe», dicono.
La mamma Io non riesco a vedere mio figlio Livio lassù in cielo. Lo vedo qui, giù, perché ha fatto un’azione bruttissima
Il papà
Livio tendeva a voler stare al centro dell’attenzione, era un ragazzo curioso, non secchione, piuttosto un po’ nerd
L’appello di entrambi
E se oggi, a distanza di 6 anni, abbiamo deciso di parlare, è per cercare di far emergere un problema di cui si parla troppo poco
Il sorriso sotto quell’elmetto da rocciatore. Mamma Roberta e papà Stefano posano lo sguardo sulla foto e gli occhi si fanno lucidi. «L’impulso di viaggiare è ciò che fonda le civiltà e ci caratterizza di più come esseri umani, ricordando che il viaggio più grande di tutti è la vita». Uno degli ultimi temi scritti da loro figlio, Livio Cinetto, studente scomparso a 16 anni, nel giugno del 2012. E, a distanza di sei anni, Roberta e Stefano hanno deciso di parlare. Perché dietro la tragedia di un lutto improvviso, si nasconde un sospetto così terribile da non riuscire nemmeno a pronunciarne il nome: bullismo.
Parola che non uscirà mai dalle bocche di Stefano e Roberta, ma che si insinua ogni giorno nei loro pensieri. Perché Livio, a 16 anni, si è tolto la vita. «E uno a quell’età non decide di fare una cosa del genere», spiega la madre. Impossibile rassegnarsi, difficile trovare la forza di andare avanti. «Ho conosciuto altri genitori che hanno perso i figli in queste circostanze e riescono a dire “ora è lassù e sta bene” - prosegue -. Io non riesco a vederlo su in cielo, lo vedo qui, giù, perché ha fatto un’azione bruttissima».
Nessun campanello d’allarme, lo ripetono nel salotto della loro villetta di San Pietro in Cariano: «Lo vedevamo contento, stava prenotando le vacanze al mare e stava anche dimagrendo». Poi, all’improvviso, il buio. E la fioca luce di un incontro con una compagna di classe, nei giorni successivi: «Ci ha detto che aveva notato un atteggiamento discriminatorio racconta Stefano -. Ma non era entrata nei dettagli, sembravano piccole cose: uno sgambetto, qualche presa in giro». Mezze parole, sospetti e sensazioni. «Non abbiamo mai voluto denunciare nessuno perché non avevamo prove certe e non volevamo creare problemi - ricordano -. E se oggi, a distanza di sei anni, abbiamo deciso di parlare, è per cercare di far emergere un problema di cui si parla troppo poco. Anche un altro ragazzo che frequentava il liceo di nostro figlio si è tolto la vita. Vogliamo che chi compie queste cose, si renda conto delle conseguenze che lascia». E il pensiero corre all’altra figlia: «È difficile - ammette Roberta -. Temo sempre di aver sbagliato e di poter sbagliare».Solo con il passare dei mesi, è venuta a galla un’altra realtà. Il padre non usa mezzi termini: «Era diventato lo zimbello della classe». Per quale motivo? «Tendeva a voler stare al centro dell’attenzione, era un ragazzo curioso», spiega Stefano. La moglie lo interrompe: «Forse un po’ pesante, diciamolo, andava a scuola ogni giorno con Focus, proponeva documentari di scienze e storia da vedere». Un secchione preso di mira? «No, assolutamente. Livio a scuola era un ragazzo nella media. Si portava a casa anche i suoi due - puntualizzano -. Casomai un po’ nerd». «E il fatto di poter essere escluso, complice anche la sua maturazione e la presa di coscienza , può averlo ferito moltissimo», spiega il padre che, un anno dopo la tragedia, è riuscito a sbloccare lo smartphone di Livio. «Ho scoperto che si era innamorato di una compagna e che per questo veniva preso in giro - ricorda -. Poi ci è stato mostrato un video girato in aula durante un’assemblea. Non c’erano insegnanti e lui era finito al centro del gioco: lo prendevano a schiaffi». Un video rimosso il giorno dopo la scoperta dei genitori. E poi l’ultimo, grande dubbio. «Il primo giugno, un venerdì, è andato a una festa per la fine dell’anno scolastico - ricorda Roberta -. Il giorno dopo ho scoperto che mi aveva rubato 40 euro dal portafoglio. Non so se avesse dovuto pagare l’ingresso alla festa a qualcuno o chissà cos’altro...».
Accanto a loro ci sono Patrizia Pisi e il marito Stefano Benato, dell’associazione Avisl e responsabili delle associazioni di mutuo aiuto a cui i coniugi Cinetto si sono rivolti: «È importantissimo far conoscere queste realtà, sono un sostegno fondamentale per trovare la forza di andare avanti». «L’opinione pubblica non vuole affrontare queste grida di dolore. Vi è un bisogno enorme di assistenza per i genitori che perdono un figlio - riflettono Pisi e il marito -. Per questo auspichiamo che il Comune di Verona accolga il nostro progetto di istituzionalizzare il nostro servizio con un centro in ogni circoscrizione».