Zenari via da Damasco dopo il raid Usa «Noi, soli e delusi»
«Come ci sentiamo? Come si sentono i siriani? Soli, lontani dalla comunità internazionale. Le bombe piovono e l’Onu delude: serve una soluzione diplomatica». Parole pronunciate da monsignor Mario Zenari, cardinale e nunzio apostolico da Damasco, poco prima di essere trasferito per questioni di sicurezza dopo il raid Usa.
Un supposto utilizzo di armi chimiche deve essere accertato da una commissione internazionale indipendente
Le su ultime parole erano state per la prudenza. Non tanto contro l’intervento che sembrava ormai imminente, quanto per una «via d’uscita diplomatica»: una flebile speranza che si è assottigliata mano a mano che passavano i minuti, per svanire attorno alle 3 della scorsa notte. «Come ci sentiamo? Come si sentono i siriani? Soli, lontani dalla comunità internazionale. Le bombe piovono e l’Onu delude: serve una soluzione diplomatica».
Parole pronunciate da monsignor Mario Zenari, cardinale e nunzio apostolico poche ore prima del raid aereo su Damasco, dove vive, e a Homs, altra importante città siriana. Da ieri il prelato non è più reperibile: è stato spostato per questioni di sicurezza, sarà lontano dalla capitale per almeno 48 ore, a quanto riferisce una sua collaboratrice. Una prassi che è avvenuta più volte negli ultimi anni, con l’acuirsi del conflitto.
Il cardinale era stato contattato dal Corriere di Verona prima che venisse deciso l’intervento congiunto di Stati Uniti, Regno Unito e Francia. Nell’occasione era tornato a chiedere un atteggiamento diverso da parte delle Nazioni unite: «Si rimane senza parole - aveva detto - quando si assiste alla tattica dei veti incrociati che sembra dominare il consiglio di sicurezza. Le risoluzioni che riguardano la Siria sono state bloccate per ben dodici volte in questo modo. Ed è accaduto anche negli ultimi giorni: ciò mi fa essere molto critico nei confronti dell’Onu, che non ha svolto il suo dovere».
Non solo le risoluzioni, ma anche le tregue, troppo effimere e regolarmente calpestate: l’ultima, il 24 febbraio, doveva durare trenta giorni. «Il cessate il fuoco, che doveva consentire l’apertura di un corridoio umanitario - ha fatto sapere il cardinale - è andato avanti, invece, a malapena per otto ore. È naturale che il popolo siriano e quanti sperano nella pace rimangano delusi».
Come hanno raccontato le cronache, la situazione è ulteriormente peggiorata negli ultimi giorni. Esattamente una settimana fa, a Douma, città contesa dall’esercito di Assad e un gruppo di ribelli c’è stato un attacco gravissimo: le stime sono di almeno cento morti. Ma soprattutto gravano sospetti sull’impiego di Sarin e di altri gas a base di cloro. Un’accusa non nuova in questi anni di guerra civile, che potrebbe portare, dopo il raid aereo, a un’escalation militare nella zona. Il tutto è accaduto non senza l’effetto sorpresa, ma dopo una serie di annunci da parte dei governi di Washington, Londra e Parigi. Del resto anche il tweet del presidente Donald Trump sulle «bombe nuove e intelligenti» era stato profetico. Quanto al presidente francese Emmanuel Macron si è detto certo dell’impiego di armi chimiche severamente proibite dai trattati internazionali.
Il diplomatico vaticano è molto più cauto: «Un supposto utilizzo di armi chimiche deve essere accertato da una commissione internazionale indipendente: sono accuse che hanno gravi conseguenze e occorre avere in mano prove certe».
Insomma, non basta quanto asserito dall’intelligence di singoli Paesi.Una cosa è certa, in momenti del genere non c’è spazio per la paura. Fra meno di un mese, monsignor Zenari rientrerà a Verona, dove celebrerà la messa del santo patrono, nella basilica di San Zeno, il 21 maggio. «Per me è un onore» ha dichiarato. «Non ho paura di spostarmi, né di rimanere qui: ormai vivo in Siria da sette anni e ci ho fatto l’abitudine. Ora la situazione nella capitale appare tranquilla, anche se nei giorni scorsi erano ritornate le bombe: i missili artigianali continuano a cadere a una quindicina di chilometri da qui».
Per il cardinale (il primo nunzio giunto alla porpora, la nomina di papa Francesco ha in questo senso rotto il protocollo) anche a semplice incertezza sulla sorte di una terra che ospita un’importante comunità cristiana contribuisce a peggiorare il tutto. «Non sappiamo quello che accadrà - conclude - è questo non aiuta. Prego sempre affinché prevalga la via diplomatica. Bisogna “far funzionare” l’Onu, per ridare la speranza alla Siria».