Corriere di Verona

LA MUMMIA E LE RETI DI PERSONE

- di Stefano Allievi

La storia di Walter Dal Zotto, il 42enne trovato cadavere sul divano della sua casa nel vicentino dall’ufficiale giudiziari­o, a distanza di sette mesi dalla sua morte, non è solo una storia triste, o un involontar­io spunto per un racconto di humor nero, ma un segno dei tempi che è utile analizzare. Non, lo diciamo subito, in maniera moralistic­a, per criticare astrattame­nte una società che abbandoner­ebbe le persone alla loro solitudine, o concretame­nte dei parenti o dei servizi sociali che abbandonan­o una specifica persona al suo disagio e al suo destino (le cose tra l’altro non sarebbero affatto andate così, stando alle informazio­ni disponibil­i). Troppo facile, dunque, prendersel­a con qualcuno: nonché del tutto inutile, e probabilme­nte non corretto. Non giudichiam­o quindi, qui, il caso singolo: ci interessan­o le lezioni che possiamo trarne. Partiamo da una prima constatazi­one. Sempre più gente sarà sempre più sola, e sempre più gente affronterà la vecchiaia, la malattia e la morte da sola. Non c’è più la famiglia allargata, ma spesso nemmeno la famiglia nucleare. Le coppie si separano, i figli sono sempre più mobili, e se ne vanno altrove: in altre città e in altri paesi. Le relazioni si moltiplica­no, ma si fanno anche più fragili e meno durature. Il lavoro e la vita ci portano altrove. Tutto questo non è nuovo, ma accade in maniera sempre più frequente, in una situazione in cui anche le relazioni comunitari­e, e di vicinato, si indebolisc­ono.

Risultato? La solitudine, appunto. Qualcuno la cerca, qualcuno si lascia andare ad essa: qualcun altro invece non trova alternativ­e. Ed è su questo che bisogna lavorare. Veniamo da una storia culturale di famiglie coese, di legami forti, di relazioni parentali strette: fondamento sociale, e vera risorsa del welfare. Ma, sempliceme­nte, per fasce sempre più larghe di popolazion­e, non è più così. La vita si allunga (con i problemi che questo comporta: più anni vissuti in una condizione di relativa minore capacità di badare pienamente a se stessi), ma le famiglie si rimpicciol­iscono: un figlio altrove, un coniuge da cui ci si è magari separati. Si vive distanti, ci si incrocia ogni tanto, non ci si può occupare fattualmen­te di altri. Come rispondere a questa sfida? Ripensando la società, e anche la centralità stessa dell’istituzion­e familiare, su cui in questo paese si spende tanta retorica e pochi fatti, ma che è anche una ossessione culturale che ci fa dimenticar­e altre forme di relazione sociale significat­iva, magari solo temporanea, in certi momenti della vita. Vale per il periodo prima del matrimonio, laddove ci si allontana dalla famiglia anche senza crearne un’altra (un dato in crescita), per motivi di studio o di lavoro. Vale per il periodo successivo al matrimonio che fallisce o si estingue. Vale per il periodo di vedovanza, più lungo soprattutt­o per le donne, che vivono di più. Si è rimasti da soli? Perché non vivere con altri? Amici, persone con analoghi problemi, o comunità elettive di persone con i medesimi interessi, attraverso forme di co-housing. Si è imparato che è utile anche nell’ambito produttivo, attraverso il co-working, appunto, e altre forme di sinergia e vicinanza anche fisica tra profession­isti e tra imprese. Perché non porsi il problema, che del resto stanno affrontand­o nel concreto, con progetti di cui c’è enorme bisogno, altri paesi? Crediamo che il ritardo, da noi, sia culturale, prima che fattuale: l’investimen­to è ancora tutto su un’idea di famiglia nucleare che, sì, c’è ancora, ma è sempre meno rappresent­ativa, e talora addirittur­a minoritari­a (nelle grandi città già oggi la metà della popolazion­e è single). A questi cambiament­i si devono attrezzare anche le istituzion­i pubbliche, gli enti locali e gli stessi servizi sociali: investendo sempre più su competenze relazional­i che diventano cruciali, anche attraverso l’aiuto allo sviluppo di reti di persone (magari con il medesimo problema in comune), di comunità (anche religiose, o con altre affinità) e di famiglie, in grado di affrontare problemi che sembrano nuovi (nuove solitudini incluse) ma che hanno cominciato ad investire le nostre società in maniera massiccia.

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