LA MUMMIA E LE RETI DI PERSONE
La storia di Walter Dal Zotto, il 42enne trovato cadavere sul divano della sua casa nel vicentino dall’ufficiale giudiziario, a distanza di sette mesi dalla sua morte, non è solo una storia triste, o un involontario spunto per un racconto di humor nero, ma un segno dei tempi che è utile analizzare. Non, lo diciamo subito, in maniera moralistica, per criticare astrattamente una società che abbandonerebbe le persone alla loro solitudine, o concretamente dei parenti o dei servizi sociali che abbandonano una specifica persona al suo disagio e al suo destino (le cose tra l’altro non sarebbero affatto andate così, stando alle informazioni disponibili). Troppo facile, dunque, prendersela con qualcuno: nonché del tutto inutile, e probabilmente non corretto. Non giudichiamo quindi, qui, il caso singolo: ci interessano le lezioni che possiamo trarne. Partiamo da una prima constatazione. Sempre più gente sarà sempre più sola, e sempre più gente affronterà la vecchiaia, la malattia e la morte da sola. Non c’è più la famiglia allargata, ma spesso nemmeno la famiglia nucleare. Le coppie si separano, i figli sono sempre più mobili, e se ne vanno altrove: in altre città e in altri paesi. Le relazioni si moltiplicano, ma si fanno anche più fragili e meno durature. Il lavoro e la vita ci portano altrove. Tutto questo non è nuovo, ma accade in maniera sempre più frequente, in una situazione in cui anche le relazioni comunitarie, e di vicinato, si indeboliscono.
Risultato? La solitudine, appunto. Qualcuno la cerca, qualcuno si lascia andare ad essa: qualcun altro invece non trova alternative. Ed è su questo che bisogna lavorare. Veniamo da una storia culturale di famiglie coese, di legami forti, di relazioni parentali strette: fondamento sociale, e vera risorsa del welfare. Ma, semplicemente, per fasce sempre più larghe di popolazione, non è più così. La vita si allunga (con i problemi che questo comporta: più anni vissuti in una condizione di relativa minore capacità di badare pienamente a se stessi), ma le famiglie si rimpiccioliscono: un figlio altrove, un coniuge da cui ci si è magari separati. Si vive distanti, ci si incrocia ogni tanto, non ci si può occupare fattualmente di altri. Come rispondere a questa sfida? Ripensando la società, e anche la centralità stessa dell’istituzione familiare, su cui in questo paese si spende tanta retorica e pochi fatti, ma che è anche una ossessione culturale che ci fa dimenticare altre forme di relazione sociale significativa, magari solo temporanea, in certi momenti della vita. Vale per il periodo prima del matrimonio, laddove ci si allontana dalla famiglia anche senza crearne un’altra (un dato in crescita), per motivi di studio o di lavoro. Vale per il periodo successivo al matrimonio che fallisce o si estingue. Vale per il periodo di vedovanza, più lungo soprattutto per le donne, che vivono di più. Si è rimasti da soli? Perché non vivere con altri? Amici, persone con analoghi problemi, o comunità elettive di persone con i medesimi interessi, attraverso forme di co-housing. Si è imparato che è utile anche nell’ambito produttivo, attraverso il co-working, appunto, e altre forme di sinergia e vicinanza anche fisica tra professionisti e tra imprese. Perché non porsi il problema, che del resto stanno affrontando nel concreto, con progetti di cui c’è enorme bisogno, altri paesi? Crediamo che il ritardo, da noi, sia culturale, prima che fattuale: l’investimento è ancora tutto su un’idea di famiglia nucleare che, sì, c’è ancora, ma è sempre meno rappresentativa, e talora addirittura minoritaria (nelle grandi città già oggi la metà della popolazione è single). A questi cambiamenti si devono attrezzare anche le istituzioni pubbliche, gli enti locali e gli stessi servizi sociali: investendo sempre più su competenze relazionali che diventano cruciali, anche attraverso l’aiuto allo sviluppo di reti di persone (magari con il medesimo problema in comune), di comunità (anche religiose, o con altre affinità) e di famiglie, in grado di affrontare problemi che sembrano nuovi (nuove solitudini incluse) ma che hanno cominciato ad investire le nostre società in maniera massiccia.