Beni archeologici danneggiati Indagati carabiniere e funzionari
«Rovinati nel trasporto all’Arsenale». Scontro sull’archiviazione
«Se il Ministero avesse saputo che il luogo prescelto per il trasferimento dei reperti era l’Arsenale, che due anni prima era stato al centro dello scandalo delle “selci blu di Verona”,con migliaia di selci del Museo Civico di storia naturale che si erano indelebilmente tinte di blu per una reazione chimica innescata dai miasmi (idrocarburi) ancora persistenti nei locali dell’ex struttura militare, avrebbe assolutamente vietato il trasferimento di nuovi reperti all’Arsenale in quanto esso era un luogo assolutamente non idoneo per ospitare quei beni culturali». Ne è convinto il privato che, rappresentato dall’avvocato Alessandro Ballottin (da ieri però uscito dalla vicenda),si è opposto all’archiviazione chiesta dal pm Valeria Ardito al termine dell’inchiesta nei confronti di Tiziano Stradoni, responsabile dei Servizi Galleria d’Arte Moderna; Angelo Brugnoli, responsabile dei Servizi al Museo Storia Naturale; Carlo Alberto Carloni, maresciallo dei carabinieri del Tpc (Nucleo Tutela Patrimonio Culturale) di Venezia, difesi dagli avvocati Borsari, Capoti e Iannetti.
In ballo in questa vicenda di cui si è discusso ieri mattina al primo piano dell’ex Mastino davanti al gip Livia Magri, risultano le selci paleolitiche di proprietà del querelante che ne lamenta l’avvenuto «danneggiamento durante il trasferimento dei reperti da Palazzo Forti all’ex Arsenale».
Era il 29 ottobre 2012: secondo il pm Ardito, però, «non emergono violazioni all’articolo 21 dei codici culturali in quanto lo spostamento era stato autorizzato dall’autorità giudiziaria né emerge che possa essere addebitata la perdita, peraltro solo supposta in mancanza di una certa catalogazione, di un cassetto dei reperti, e la violazione dei sigilli che dagli atti non risulta nemmeno provata». A luglio la decisione del gip.