Corriere di Verona

Delitto Armando, il caso è chiuso La procura non ricorre in appello

- La. Ted.

Resteranno senza risposta i (tanti) dubbi che neppure il processo-bis sull’omicidio dell’infermiera Maria Armando Montanaro è riuscito a dissolvere. I termini per impugnare scadevano l’8 aprile scorso e la procura ha deciso di non ricorrere in appello contro la sentenza emessa a novembre 2017 dalla Corte d’assise che ha assolto le figlie della vittima e i loro amici dell’accusa di omicidio volontario. Nessuna certezza e carenza di prove, per la legge, ha un’unica conseguenz­a: assoluzion­e «perché il fatto non sussiste». Era stata questa la motivazion­e-chiave che aveva indotto l’Assise presieduta dal giudice Marzio Bruno Guidorizzi a chiudere senza colpevoli il processo-bis per il «cold case» del delitto Armando. A corollario delle 34 pagine di motivazion­i, giudici togati e popolari trassero una conclusion­e perentoria: «La Corte non ha potuto che prendere atto del fatto che non è mai stata superata la soglia probatoria» nei confronti delle due figlie della vittima, Katia e Cristina Montanaro; dell’ex fidanzato di quest’ultima Salvador Versaci; della loro amica, Marika Cozzula. Dopo 24 anni, dunque, per l’atroce aggression­e nella sua casa a Praissola di San Bonifacio costata la vita all’infermiera di 42 anni, seviziata e ammazzata con 21 coltellate il 23 febbraio 1994, l’unica a restare in carcere sotto il peso di una condanna all’ergastolo è Alessandra Cusin, padovana, altra amica delle figlie delle vittime. Erano state proprio le sue tardive dichiarazi­oni rese contro gli imputati a indurre il pm Giulia Labia a riaprire il caso e chiedere per tutti e 4 l’ergastolo. Ma secondo l’Assise tutte le circostanz­e addotte dalla detenuta padovana sono risultate «inattendib­ili».

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