Vicenza, M5S nega il simbolo al suo candidato
«Senza un perché». È un giallo in piena regola quello che sta vivendo il candidato sindaco dei 5 Stelle a Vicenza, Francesco Di Bartolo, costretto a ritirarsi dalla corsa dopo mesi di preparazione poiché i vertici del movimento hanno negato all’ultimo l’uso del simbolo.
Premessa doverosa e necessaria: fino alle 12 di oggi, termine ultimo per il deposito delle liste in Comune, tutto può succedere. A maggior ragione nei Cinque Stelle, dove il coup de théâtre è sempre in agguato, e difatti c’è chi dice che è tutto preparato, studiato a tavolino per far parlare e suscitare clamore, sempre utile in campagna elettorale. Lo auguriamo a Francesco Di Bartolo, avvocato, romanziere e sommelier, fino a ieri candidato sindaco del Movimento a Vicenza, perché viceversa sarebbe protagonista (suo malgrado) di una figuraccia che ha dell’incredibile: dopo tre mesi di attacchinaggio manifesti, gazebate, volantinaggi in piazza, confronti pubblici, post su Facebook, video in tivù, interviste sui giornali - tutto, rigorosamente per i colori di Luigi Di Maio - Di Bartolo sarà costretto a non partecipare al voto del 10 giugno perché il Movimento, semplicemente, ha deciso di negargli l’uso del simbolo all’ultimo minuto utile («Ha negato la certificazione della lista»).
«Ma come?» è sbottato Di Bartolo. «Ma come?» gli hanno fatto eco i 32 candidati consiglieri, il coordinatore della campagna Daniele Ferrarin, i 500 e più che hanno firmato per la lista e qualche migliaio di elettori, pronti a tracciare una croce sul simbolo del partito più in voga del momento. Proprio così. Tanto che Ferrarin, sconsolato, è costretto a ripiegare: «Per rispetto dei cittadini che ci hanno sostenuto, depositeremo comunque tutti i documenti, simbolicamente». Un epilogo pazzesco se si pensa che Vicenza è l’epicentro delle più importanti battaglie combattute in questi anni dal M5S in Veneto, dalla Popolare alla Pedemontana, dalle Pfas alla Tav, finendo a Borgo Berga.
Ma chi ha deciso? Non si sa. Tutti rimandano allo «Staff», entità misteriosa creata da Gianroberto Casaleggio che si cela dietro un indirizzo e-mail (avete letto bene: un indirizzo e-mail) di cui non si conosce il volto, il nome, neppure un numero di telefono da chiamare per avere spiegazioni. Quando si vuol correre ad una competizione elettorale si raccolgono i documenti che dimostrano l’assenza di condanne, di due mandati già trascorsi in politica, di precedenti candidature contro il Movimento e si spedisce tutto all’indirizzo e-mail, restando in attesa di risposta. Solitamente, se si sono fatte le cose perbene, arriva («Cordiali saluti, lo Staff»). Se non arriva, finisce come a Vicenza. Di sicuro il segretario nathional della Lega Gianantonio Da Re non sperava tanto quando ieri, da queste colonne, auspicava il sostegno del M5S ai ballottaggi: va bene aiutarsi al secondo turno, ma non presentarsi proprio... E nel silenzio dei vertici del Movimento, molti adesso riconducono tutto ad una sorta di «patto di desistenza» firmato da M5S e Lega, proiezione sul territorio dell’alleanza che va stringendosi a Roma. Ma la ricostruzione, regge fin lì. Se così fosse, infatti, perché Vicenza sì e Treviso (assai più cara alla Lega) no? Perché no anche in tutti gli altri Comuni al voto? Davvero nello scacchiere nazionale Vicenza ha un ruolo tale da rientrare negli equilibri di governo? Questa versione, comunque, sta decollando sui social, rilanciata dal Pd - che ovviamente cavalca l’onda - ma anche dalla «Sinistra Cinque Stelle», furiosa per il patto con Salvini.
C’è chi banalmente riconduce
C’è chi parla di un patto di desistenza tra Salvini e Di Maio, chi del rischio di una dura sconfitta
il disastro all’imperizia, inciampi burocratici da dilettanti allo sbaraglio, ma anche questa regge fin lì, perché il M5S è ormai su piazza da troppo tempo per commettere errori tanto marchiani. Hanno voluto far fuori l’ex dipietrista Di Bartolo e Ferrarin, perché «troppo di sinistra» come si dice a Vicenza? Il regolamento di conti interno non è escluso anche se il capoluogo berico non è Genova, nulla rievoca l’epico scontro Pirondini-Cassimatis di un anno fa, scatenato proprio dalla titolarità del simbolo.
Resta l’ultima delle versioni, la più triste per il M5S: a Vicenza si rischiava di perdere malissimo, per cui meglio lasciar stare. Già nel 2013, con la gente arrampicata sulle colonne di piazza dei Signori al comizio di Grillo, i Cinque Stelle non andarono oltre il 7%. Stavolta di mezzo ci sono stati il caso dei migranti all’Hotel Adele (di proprietà di un pentastellato), le dichiarazioni della deputata Sara Cunial sui vaccini e l’Olocausto, la lite continua tra i due consiglieri in carica (con Ferrarin, Liliana Zaltron, l’ex candidata sindaco). Pare che a Milano girassero sondaggi deprimenti e allora, meglio ricordare quel che diceva Casaleggio padre: «Al minimo dubbio, nessun dubbio». Ritirata.