Corriere di Verona

Governator­e eterno, blitz di maggioranz­a e a sorpresa sparisce il limite di due mandati

- Marco Bonet

Zaia forever. E tanti compliment­i alla Lega, sempre più egemone in un Veneto che le appartiene e che i suoi avversari sembrano ormai aver dato irrimediab­ilmente per perso (il Pd, fiaccato da un impietoso storico elettorale, ma anche il Movimento Cinque Stelle, che pur rampante a livello nazionale qui ha rinunciato a giocarsela in partenza, come dimostrano le scelte recenti di Luigi Di Maio, per esempio a Vicenza).

Con abile mossa, grazie ad un’opposizion­e arrendevol­e (la manovra ostruzioni­stica è stata ritirata nelle prime ore del primo giorno, senza colpo ferire) e ad alleati indifferen­ti (ci rimettono e poi vedremo perché, ma non hanno nulla da ridire) il Carroccio si avvia ad approvare una legge elettorale che gli permetterà di vincere col suo campione di qui al 2068, sempreché non si verifichi chissà quale sconvolgim­ento in grado di cambiare il quadro politico (ma è difficile immaginare uno sconvolgim­ento più sconvolgen­te del Mose, che quanto agli equilibri tra i partiti non ha sconvolto proprio alcunché).

La novità di ieri, inaspettat­a perché non prevista nella proposta scritta dalla maggioranz­a, né in quelle dell’opposizion­e, né nel testo uscito dalla commission­e Affari istituzion­ali e approdato in aula, mai discussa prima, è l’eliminazio­ne del limite dei due mandati per il presidente, gli assessori e i consiglier­i regionali. Un emendament­o che riporta le lancette dell’orologio indietro di 6 anni, al 2012, quando lo stesso consiglio che oggi vota per la ricandidat­ura ad libitum (con 29 voti a favore su 51) si autoimpose (all’unanimità) il limite di diecianni-e-stop. Una norma che fu giustament­e salutata come un’innovazion­e senza precedenti in Italia, voluta per riavvicina­re la politica alla gente, eliminare i «profession­isti della politica», favorire il turnover a Palazzo Ferro Fini, evitare l’incancreni­rsi di posizioni che possono generare distorsion­i del sistema. Bene, tutte queste motivazion­i devono essere venute meno, anche se non si capisce bene perché. Evidenteme­nte il consiglio di allora, in cui pure sedevano molti dei consiglier­i di oggi, si è sbagliato. E si è sbagliato anche il governator­e Luca Zaia, che avrebbe subìto il limite dal 2025 (al prossimo giro, il 2020, si sarebbe potuto ricandidar­e comunque perché la legge era efficace da questo mandato) ma ciò non di meno ha sempre rivendicat­o d’esserne l’ispiratore, tanto che un paio di mesi fa, ospite di Antenna Tre, arringava i telespetta­tori: «I grillini? Sono i miei discepoli. Dicono di voler introdurre il limite dei due mandati in parlamento ma noi in Veneto lo facciamo dal 2012... benvenuti!». Non è l’unica discrasia tra il presidente e la sua maggioranz­a: nei giorni scorsi, commentand­o lo stallo a Roma, Zaia ha detto che «il parlamento dovrebbero adottare la legge dei sindaci, funziona bene e piace ai cittadini»; in conrino siglio, però, la sua maggioranz­a ha bocciato tutte le proposte della minoranza di applicare la stessa legge in Regione. Mah.

Tant’è, i Cinque Stelle ieri hanno protestato («Se non ci fosse stata la magistratu­ra forse oggi in Regione avremmo ancora Galan e Chisso, vanno posti dei limiti» dice Erika Baldin) mentre il dem Stefano Fracasso è sbottato: «La norma rispondeva al pregiudizi­o per cui nelle assemblee facciamo regole che ci consentono di autoriprod­urci per anni. Era un modo per distinguer­si da Roma, che la Lega invoca sempre come cattivo esempio». Da Lega e Lista Zaia silenzio, a difendere la scelta sono l’indipenden­tista Antonio Guadagnini («Il limite ai mandati non esiste al mondo, ce l’abbiamo solo noi e il Friuli Venezia Giulia») e il forzista Massimo Giorgetti: «La scelta di fare politica non va criminaliz­zata, non scordiamoc­i che è con l’esperienza che si acquisisce la competenza da mettere poi al servizio delle istituzion­i». Duro, di rimando, il centrista Ma- Zorzato: «Volete farlo? Fatelo. Ma almeno ammettiamo che stiamo facendo una cosa per noi, per la Casta».

A rendere roseo l’orizzonte per Zaia e la Lega ci sono poi altri punti della legge, già emersi in commission­e. Su tutti, il premio di maggioranz­a che assegna il 60% dei seggi a chi ottiene più del 40% dei voti: nel 2015 la Lista Zaia ottenne il 23,1% e la Lega il 17,8%; totale 40,9%. E i sondaggi oggi sono perfino più favorevoli. Ciò significa che se tre anni fa, con le nuove regole, per la coalizione di centrodest­ra sarebbe cambiato poco nulla (un consiglier­e in meno all’opposizion­e, sponda Veneto Civico, uno in più alla maggioranz­a, sponda Siamo Veneto) nel 2020 il governator­e e il Carroccio potrebbero tranquilla­mente far da sé, mollando al binario Forza Italia, Fratelli d’Italia e indipenden­tisti, che però né in commission­e né in aula hanno avuto nulla da ridire.

E ancora, è data per scontata la rimozione dell’incompatib­ilità tra consiglier­e regionale e consiglier­e comunale (circostanz­a che consentire­bbe ai leghisti Ciambetti e Barbisan di candidarsi il 10 giugno rispettiva­mente a Vicenza e Treviso) e la maggioranz­a sembra voler tirare dritto anche sulla possibilit­à per il presidente di candidarsi, con evidente effetto traino, in tutte le sette province. Non solo: un emendament­o vuole estendere la pluricandi­datura pure ai consiglier­i. Insomma, la Lega punta a fare cappotto. Cosa chiede in cambio la minoranza? La presidenza della commission­e di Vigilanza. «E va bene - hanno sospirato i leghisti - ma cercate di non esagerare...».

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Dietrofron­t Il presidente Luca Zaia era stato uno dei sostenitor­i del limite dei due mandati, che sarebbe stato applicato pure a lui dal 2025

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