Parla Nini Salerno Le «Nobili Bugie» sul grande schermo
L‘ex Gatto di Vicolo Miracoli al cinema in un film con Claudia Cardinale, Giancarlo Giannini e Raffaele Pisu. «A Verona torno sempre volentieri. Per diventare capitale della cultura deve decentrare l’arte, portarla nei quartieri»
Il ruolo del servitore sordo in «Nobili bugie». «Ch’è un film fatto bene, rarità coi tempi che corrono». Il cinema di casa nostra. «Condannati alla romanità, non ridiamo più in italiano». Il teatro, grande amore. «Un amore tenuto in vita dalle vecchie generazioni». Verona, la sua città («vivo a Roma da 40 anni ma torno sempre volentieri») che se vuol essere Capitale della Cultura 2020, dice lui, «portare l’arte nei quartieri e periferie». E poi il film che riunisce i Gatti di Vicolo Miracoli, «Odissea nell’Ospizio», che «è lì, in un limbo, girato, finito e pronto da due anni…». Al telefono Nini Salerno, 69 anni, attore di lungo corso, ora nei panni di Tommaso in un film, «Nobili Bugie», in sala da domani, nel cast tra gli altri Claudia Cardinale, Giancarlo Giannini e Raffaele Pisu. Nini Salerno in «Nobili Bugie», com’è nata?
«Conosco molto bene Antonio Pisu, il regista. E avevo già lavorato anche con suo papà, Raffaele. Con lui siamo stati a teatro anni fa in “Se devi dire una bugia dilla grossa” di Ray Cooney, passando anche dal Nuovo, lì a Verona. Raffaele è un personaggio meraviglioso, 93 anni, sveglio come un grillo. Direi che ha lo spirito di noi Gatti: un cazzone a vita, di quelli senza vergogna, che moriranno prendendosi per il culo. Appena Antonio m’ha chiamato, allora, ho accettato volentieri. Nel film sono un vecchio servitore che attraversa le vicende di questa famiglia squinternata e opportunista nell’Italia vicina alla fine della seconda guerra mondiale. C’è umorismo e c’è dramma, questa la particolarità. E c’è una cifra stilistica abbastanza diversa da tutto il resto. Un film fatto bene, per attori, per regia. Un prodotto interessante, visti i tempi…». Parliamone, dei tempi…
«Tragici. Meno male ci sono ancora autori che fanno film seri. Ma per commedie siamo nel sottoscala della dignità. “Perfetti sconosciuti” è uno dei pochi, recenti esempi positivi. La stragrande maggioranza delle produzioni sono fatte male, brutte, ripetitive. Sempre gli stessi attori. E poi questa romanità imperante. L’equivoco è che per sembrare più veri si debba biascicare anziché parlare l’italiano. Ridere nella nostra lingua, invece, è ancora possibile».
E lo fate in «Nobili Bugie», sul cui set ha lavorato con Claudia Cardinale...
«Claudia è sempre una grande presenza. Grandissima donna, semplice, disponibile, sorridente, pronta a fra-
ternizzare e scherzare. Ogni tanto mi toccava il sedere e allora io la mettevo in mezzo strappandole qualche aneddoto: lei che arriva a New York e subito si trova Marlon Brando alle costole che vuol portarsela a letto. Parliamo di una stelle: come ha occupato lo schermo lei, solo Lollobrigida e Loren».
Al cinema ci vanno sempre meno persone?
«C’è un calo del 40 per cento sull’anno scorso. Servono nuove vie. Vendere i film in prima visione tv, come già fanno adesso. O trasformare la sala in un luogo di eventi. Io faccio sempre teatro perché quello regge ed è un’altra storia. La gente di teatro vuol muoversi, vedere le persone. È un’esperienza che Netflix, per dire, non può replicare. Il pubblico è fatto soprattutto di “vecchi”? Allora ben vengano i vecchi, che con gli abbonamenti tengono in piedi tutto. I giovani, ormai, non bisogna considerarli: dispongono di tutt’altra alternativa».
Novità su «Odissea nell’ospizio», il film del ritorno dei Gatti di Vicolo Miracoli?
«Brancoliamo nell’ignoto. Non so dire che fine farà. Mi auguro almeno esca in tv. È stato girato due anni fa, è strapronto, fermo in attesa. Una commedia bella e dignitosa, anche un po’ malinconica, sarebbe un peccato...».
Ultima: Verona Capitale della Cultura 2020, cosa serve?
«Oggi è molto importante decentrare la cultura, cioè coinvolgere anche chi si sente un po’ ai margini: non solo eventi in centro ma anche in periferie e quartieri. Far vedere qualcosa che esca dalla città. Perché la cultura deve arrivare a più gente possibile».