LITI IN CASA UNA TUTELA PER I FIGLI
Partiamo da due numeri. Lo scorso anno si sono separate in Italia circa 92 mila coppie, 6.600 in Veneto. In realtà le rotture coniugali sono di più, dato che dovremmo aggiungere anche le separazioni di fatto. E pure andrebbero comprese le dissoluzioni delle coppie non sposate. Comunque in circa la metà dei casi di separazione vi sono figli minori. E’ facile – purtroppo – immaginare che questi ultimi abbiano assistito alle tensioni e ai litigi che spesso e quasi fisiologicamente accompagnano i processi di rottura del matrimonio.
Ebbene, il litigare con veemenza davanti ai figli minori è divenuto un reato. Lo ha affermato una recente sentenza della Corte di Cassazione: perché litigare in continuazione, hanno detto i supremi giudici, crea un danno psicologico ai bambini che si riverbera sulla loro crescita. I minori devono essere protetti da ogni forma di brutalità e maltrattamenti e i litigi tra marito e moglie sono una violenza sui figli che addirittura configura il reato di maltrattamenti in famiglia, punibile con la reclusione da uno a cinque anni. Insomma con questa sentenza della il concetto di maltrattamento viene ampliato: non è necessario che il bersaglio dell’aggressione sia il bimbo, basta che assista ad una scena violenta – la lite genitoriale appunto, in cui si può trascendere almeno verbalmente - per essere vittima di violenza passiva e quindi «maltrattato».
Ècurioso rilevare come la famiglia – le relazioni affettive – conosca nel tempo un rapporto a fisarmonica con il diritto. Perché da un lato l’amore e la famiglia si privatizzano, si intimizzano sfuggendo alla regolazione giuridica. Ad esempio evitando il matrimonio e limitandosi alla convivenza. O addirittura saltando anche quest’ultima creando la cosiddetta famiglia a distanza, in cui i due partner vivono ciascuno a casa propria (solitarismo, viene detto in Francia). Dall’altro, paradossalmente, più la coppia si privatizza, più il diritto la insegue, in nome dell’eguaglianza tra i membri e della protezione dei figli (che in un caso su tre nascono fuori del matrimonio) e della parte più debole. L’ultimo esempio è offerto da una sentenza della Corte di Cassazione di quest’anno che ha affermato che si può essere conviventi, e quindi una famiglia, anche se non si vive sotto lo stesso tetto. Perché la convivenza è un “legame affettivo stabile e duraturo” tra due persone che hanno spontaneamente assunto “reciproci impegni di assistenza morale e materiale” a prescindere da un’effettiva “coabitazione” della coppia. Malgrado si concepisca la relazione familiare in modo sempre più privato e soggettivo, il diritto tenta di entrare nelle pieghe delle intimità domestiche più impensate o scontate. Come il litigare davanti ai figli piccoli: un evento che oggi può interessare perfino il codice penale.