A Palazzo Chigi ora c’è un avvocato La missione di un mestiere «politico»
Il presidente della Repubblica ha conferito l’incarico per formare un nuovo governo a Giuseppe Conte, professore di diritto civile e avvocato. La prima e più importante critica che questa soluzione della crisi ha ricevuto per questa designazione di Lega e 5 Stelle consiste nel fatto che si tratti di un tecnico e non di un politico, mentre i passati governi tecnici (Dini, Ciampi, Monti) erano stati fieramente avversati da quelle forze che oggi ne propongono uno. Di Conte, al di là di quanto riportato dai quotidiani (curriculum compreso) non sappiamo molto, se non che è un allievo e collega di studio del prof. Alpa, a lungo presidente del Consiglio nazionale forense e figura professionale di alta qualità. Ma qui interessa verificare se sia proprio vero che un avvocato non sia sempre, più o meno direttamente anche un politico, nel senso di espressione della comunità in cui vive ed opera, di partecipe attivo alla polis. È evidente che non ci si riferisce ai molti avvocati che popolano il Parlamento: la maggior parte di loro ha scelto la politica al posto della professione e questo si nota con grande evidenza nella produzione di una normativa alluvionale, sconnessa, in una parola: dannosa. Ci riferiamo invece al compito che l’avvocato deve svolgere nel difendere il cittadino dalle pretese ingiuste dello Stato, nel reggere il dissenso popolare quando chiamato a garantire la difesa anche nei casi più odiosi o maggiormente riprovati nella società. A partire dal protagonismo giudiziale di quei pubblici ministeri che si sono sentiti investiti di una funzione divina, depositari di un’etica asseritamente superiore, determinati ad applicarla anche quando contrastava con le libertà personali.
L’avvocato in questi casi rappresenta un contropotere, preposto alla difesa del diritto e della libertà, esposto al dissenso sociale che lo colpisce nella sua attività professionale («Non andare da quello che è il difensore di …»), ma anche nella sua sfera privata e nelle relazioni sociali. Chi garantisce il diritto costituzionale alla difesa, sfidando l’opinione di una piazza irrazionale e gli umori forcaioli, garantisce i fondamenti della democrazia e dunque svolge un ruolo eminentemente politico.
Spesso l’avvocato è chiamato a contribuire a scelte difficili, quando è consulente dell’imprenditore o dell’organizzazione sindacale nei conflitti di lavoro; quando rappresenta una minoranza azionaria a fronte di un abuso delle posizioni di maggioranza; quando semplicemente contribuisce allo svolgimento ordinato di un processo in cui siano in ballo la libertà individuale o il patrimonio personale.
A ben vedere tutte queste sono attività politiche. Non serve ricordare che l’avvocato più famoso della storia, Marco Tullio Cicerone, ha risolto un interrogativo dalla cui soluzione dipendeva la creazione dell’impero romano, divenendone suo malgrado il precursore, consentendo l’integrazione delle varie etnie conquistate dagli eserciti e delle diverse religioni, trasformando la retorica da strumento di lotta politica a strumento di convincimento (a volte mistificazione) ideologico. Molto altro si potrebbe dire sull’avvocato come agente politico nella società: quando nel 1873 furono creati i primi Consigli dell’Ordine degli Avvocati si raccolsero un numero esiguo di soggetti che, impegnati direttamente in politica, difendevano gratuitamente i perseguitati per motivi ideologici o di classe.
Certo oggi i giuristi e gli avvocati sono diversi, combattono spesso battaglie meno eclatanti, a volte combattono anche la battaglia del pane quotidiano, visto il processo di proletarizzazione a cui sono stati sottoposti dalla crisi finanziaria ed economica di questo decennio. Ma nell’essenza di chi svolge questa funzione sta l’autonomia e l’indipendenza da ogni potere, la capacità di affermare quello che considera il buon diritto, la capacità di convincere che quel buon diritto difeso è giusto.
Serve altro per fare il primo ministro? Forse no.
Quello che è certo è che a Verona abbiamo avuto esperienza di avvocati di grande capacità, contemporaneamente amministratori della città e del bene pubblico. Per il passato basterà ricordare Renato Gozzi, Giambattista Rossi, Luigi Righetti, Dario Donella.
Non ci dispiacerebbe se il nuovo Primo Ministro assomigliasse a loro perché, in questo caso, non avremmo dubbi sulla sua natura di tecnico (nel senso di conoscitore sapiente delle leggi e dei meccanismi di amministrazione) e di politico, nel senso di appartenente alla polis e non di «avvocato del popolo», affermazione che, a ben vedere, significa poco e concede molto agli umori molto diffusi e poco politici.
*Avvocato