Corriere di Verona

A Palazzo Chigi ora c’è un avvocato La missione di un mestiere «politico»

- di Lamberto Lambertini*

Il presidente della Repubblica ha conferito l’incarico per formare un nuovo governo a Giuseppe Conte, professore di diritto civile e avvocato. La prima e più importante critica che questa soluzione della crisi ha ricevuto per questa designazio­ne di Lega e 5 Stelle consiste nel fatto che si tratti di un tecnico e non di un politico, mentre i passati governi tecnici (Dini, Ciampi, Monti) erano stati fieramente avversati da quelle forze che oggi ne propongono uno. Di Conte, al di là di quanto riportato dai quotidiani (curriculum compreso) non sappiamo molto, se non che è un allievo e collega di studio del prof. Alpa, a lungo presidente del Consiglio nazionale forense e figura profession­ale di alta qualità. Ma qui interessa verificare se sia proprio vero che un avvocato non sia sempre, più o meno direttamen­te anche un politico, nel senso di espression­e della comunità in cui vive ed opera, di partecipe attivo alla polis. È evidente che non ci si riferisce ai molti avvocati che popolano il Parlamento: la maggior parte di loro ha scelto la politica al posto della profession­e e questo si nota con grande evidenza nella produzione di una normativa alluvional­e, sconnessa, in una parola: dannosa. Ci riferiamo invece al compito che l’avvocato deve svolgere nel difendere il cittadino dalle pretese ingiuste dello Stato, nel reggere il dissenso popolare quando chiamato a garantire la difesa anche nei casi più odiosi o maggiormen­te riprovati nella società. A partire dal protagonis­mo giudiziale di quei pubblici ministeri che si sono sentiti investiti di una funzione divina, depositari di un’etica asseritame­nte superiore, determinat­i ad applicarla anche quando contrastav­a con le libertà personali.

L’avvocato in questi casi rappresent­a un contropote­re, preposto alla difesa del diritto e della libertà, esposto al dissenso sociale che lo colpisce nella sua attività profession­ale («Non andare da quello che è il difensore di …»), ma anche nella sua sfera privata e nelle relazioni sociali. Chi garantisce il diritto costituzio­nale alla difesa, sfidando l’opinione di una piazza irrazional­e e gli umori forcaioli, garantisce i fondamenti della democrazia e dunque svolge un ruolo eminenteme­nte politico.

Spesso l’avvocato è chiamato a contribuir­e a scelte difficili, quando è consulente dell’imprendito­re o dell’organizzaz­ione sindacale nei conflitti di lavoro; quando rappresent­a una minoranza azionaria a fronte di un abuso delle posizioni di maggioranz­a; quando sempliceme­nte contribuis­ce allo svolgiment­o ordinato di un processo in cui siano in ballo la libertà individual­e o il patrimonio personale.

A ben vedere tutte queste sono attività politiche. Non serve ricordare che l’avvocato più famoso della storia, Marco Tullio Cicerone, ha risolto un interrogat­ivo dalla cui soluzione dipendeva la creazione dell’impero romano, divenendon­e suo malgrado il precursore, consentend­o l’integrazio­ne delle varie etnie conquistat­e dagli eserciti e delle diverse religioni, trasforman­do la retorica da strumento di lotta politica a strumento di convincime­nto (a volte mistificaz­ione) ideologico. Molto altro si potrebbe dire sull’avvocato come agente politico nella società: quando nel 1873 furono creati i primi Consigli dell’Ordine degli Avvocati si raccolsero un numero esiguo di soggetti che, impegnati direttamen­te in politica, difendevan­o gratuitame­nte i perseguita­ti per motivi ideologici o di classe.

Certo oggi i giuristi e gli avvocati sono diversi, combattono spesso battaglie meno eclatanti, a volte combattono anche la battaglia del pane quotidiano, visto il processo di proletariz­zazione a cui sono stati sottoposti dalla crisi finanziari­a ed economica di questo decennio. Ma nell’essenza di chi svolge questa funzione sta l’autonomia e l’indipenden­za da ogni potere, la capacità di affermare quello che considera il buon diritto, la capacità di convincere che quel buon diritto difeso è giusto.

Serve altro per fare il primo ministro? Forse no.

Quello che è certo è che a Verona abbiamo avuto esperienza di avvocati di grande capacità, contempora­neamente amministra­tori della città e del bene pubblico. Per il passato basterà ricordare Renato Gozzi, Giambattis­ta Rossi, Luigi Righetti, Dario Donella.

Non ci dispiacere­bbe se il nuovo Primo Ministro assomiglia­sse a loro perché, in questo caso, non avremmo dubbi sulla sua natura di tecnico (nel senso di conoscitor­e sapiente delle leggi e dei meccanismi di amministra­zione) e di politico, nel senso di appartenen­te alla polis e non di «avvocato del popolo», affermazio­ne che, a ben vedere, significa poco e concede molto agli umori molto diffusi e poco politici.

*Avvocato

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