Corriere di Verona

Il pensiero ai margini del mondo Alla Fondazione Prada le «case rifugio» di tre filosofi

- Fabio Bozzato

Sull’incrocio non pacificato fra filosofia, architettu­ra e arte, la Fondazione Prada ha affidato al filosofo-curatore Dieter Roelstraet­e il compito non-semplice di dispiegare una mostra a Ca’ Corner della Regina. Così, dal 26 maggio al 25 novembre, è disponibil­e al pubblico «Trois machines à penser», macchina visiva attorno a tre grandi filosofi del ‘900: Martin Heidegger, Ludwig Wittgenste­in, Theodor Adorno. Pretesto e cuore dell’esposizion­e sono le loro dimore. Wittgenste­in si era costruito una casa-rifugio sull’orlo di un impervio fiordo norvegese ed è qui che scriverà Tractatus

Logico-Philosphic­us nel 1921. Heidegger in quegli stessi anni darà forma a

Essere e tempo (1927) nella baita di legno immersa nella Foresta Nera: qui solo una giornalist­a riuscirà a intervista­rlo sul finire degli anni ‘60, un ventennio dopo la catastrofe su cui lui aveva strizzato l’occhio senza mai pentirsene. E Adorno? Adorno da quella Germania era fuggito, politicame­nte e umanamente incompatib­ile, e si era rifugiato negli Stati Uniti. La sua casa è stato l’esilio: approdato a Los Angeles, si era incontrato con una straordina­ria comunità di fuggiaschi, da Fritz Lang a Bertold Brecht. In realtà, l’unica Capanna di Adorno è un’opera di metà anni ‘80, concepita dallo scozzese Hamilton Finlay e che si può vedere in mostra: uno scheletro di edificio assemblato in legno e acciaio rosso. «Una sorta di architettu­ra del rifugio – dice il curatore – dedicata a un filosofo che, lontano da ogni traccia romantica, mai avrebbe scelto di vivere ai margini del mondo conosciuto, figurarsi costruirsi un rifugio da solo». Dunque: una baita, una casupola e un luogo fantasmati­co. Attorno a questi tre elementi si dipana la mostra a Ca’ Corner. E se i fili che li legano hanno una densa e spigolosa trama di connession­i teoriche e concettual­i, la mostra ha anche un suo livello di percorribi­lità semplice, quasi disarmante, tanto ogni risvolto è esposto ed esplicito. L’interno della casa (vera) di Adorno è una grande immagine appesa, ai cui piedi è disegnata la mappa del suo esilio. Le case di Heidegger e Wittgenste­in sono riprodotte in scala 1:88. Patrick Lakey ritrae le case di filosofi tedeschi, da Goethe a Marx, da Hegel a Schopenhau­er. Di Anselm Kiefer è la Casetta del

cervello: una piccola costruzion­e di mattoni, gabbia della mente e allo stesso tempo macerie della Germania. Giulio Paolini piazza delle pietre tra le pagine di un libro. Nel palazzo risuona Fourteen ways to describe rain: è la musica composta da Susan Philipsz ispirata alla vita tormentata di Hanns Eisler, esule con Adorno a L.A., autore di colonne sonore, sospetto comunista per l’FBI e di nuovo esule in DDR. La Storia e i pensieri, si sa, fanno giri strani e logici.

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