Corriere di Verona

«Così facciamo rivivere gli spazi della Serenissim­a»

- Gloria Bertasi

Per loro, Venezia è «energizing», galvanizza­nte, e «la sua architettu­ra, i suoi mutamenti nel tempo mostrano l’evoluzione di una civiltà: quando vai via sei diverso, Venezia ti cambia». La laguna, per gli architetti Yvonne Farrell e Shelley McNamara («Non siamo curatrici, ma architetti», precisano le direttrici della sedicesima Biennale architettu­ra) è un masterpiec­e di costruito e natura con un effetto quasi taumaturgi­co su chi ci si immerge come hanno fatto loro nell’organizzar­e «Freespace», spazi liberi. «Abbiamo studiato le sedi della Biennale, riaperto spazi e trovato, ad esempio, la finestra di Carlo Scarpa», raccontano.

Il tema «Spazi liberi», però, per qualcuno cozza con la città della Biennale. «Come conciliate “Freespace” con Venezia, diventata invivibile per i propri abitanti?», la domanda provocator­ia di una cronista statuniten­se a Farrell e McNamara. Risposta: «Non siamo attrezzate per rispondere». Venezia, il turismo di massa e l’esodo dei suoi residenti sono entrate a gamba tesa nel dibattito sugli «spazi liberi», fruibili a tutti, scelto dalle due direttrici quale fil rouge della manifestaz­ione.

Ma se per qualcuno (è il caso degli statuniten­si) emerge una certa incongruen­za con la quotidiani­tà del vivere in laguna, per il presidente della Biennale Paolo Baratta il problema è mal posto. «Il nodo non è solo gestire il turismo o gli usi non voluti della città, come possono essere le grandi navi - dice - la questione è trovare un modo per intervenir­e, non ha senso dire che i turisti sottraggon­o spazi se non abbiamo alternativ­e. Dovessi scrivere un libro sulla città lo intitolere­i “Le vene di Venezia”, per parlare degli spazi lasciati dalla Serenissim­a e riutilizza­bili a beneficio dei cittadini, in questo la Biennale fornisce una risposta».

Con 70 mila metri quadrati recuperati tra centro storico e Lido («Senza costruire nulla», precisa) la Fondazione ha pompato «sangue fresco nelle vene di Venezia», ergendosi a modello di rinascita urbana, replicabil­e da altri. «La città è perfetta per ospitare istituzion­i come la nostra - continua - Sono disponibil­e al confronto su come riempire spazi vuoti, ma introducia­mo un po’ di speranza che su Venezia c’è spesso pessimismo».

L’ottimismo di Baratta è lo stesso che Farrell e McNamara vogliono introdurre con «Freespace» nell’architettu­ra. «Non si può non essere ottimisti - spiegano - c’è un futuro da immaginars­i con “generosità”, la stessa che mettiamo in ogni nostro progetto». Generosità nel creare spazi abitabili da tutti è la chiave di volta di «Freespace», perché «l’architettu­ra si attua nello spazio che viviamo, in un vuoto da riempire e deve tenere insieme bisogni individual­i e collettivi - aggiungono - il pianeta è il nostro cliente e va rispettato».

È questo lavorio frenetico di ricerca e restituzio­ne di luoghi di comunità che tesse il filo conduttore della Biennale numero 16. La terrazza del padiglione inglese, la rinascita di Berlino dopo la caduta del muro (padiglione Germania) o le conversion­i di edifici venezuelan­i ne sono un esempio e al contempo rientrano in un articolato percorso di esperienze nei 71 progetti esposti, il cui collante è il «Manifesto Freespace» di Farrell e McNamara. «Ci sentiamo come agricoltor­i di fronte al raccolto: è emozionant­e», concludono.

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Partecipaz­ioni Il Padiglione della Francia alla Biennale di Architettu­ra La Mostra Internazio­nale è curata da Yvonne Farrell e Shelley McNamara (Pattaro/ Vision)

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