L’offerta Usa ora supera i 20 milioni
Più soldi e l’ipotesi di un ritorno di Ferrero: le ultime carte da giocare
Il pessimismo sulle sorti di Melegatti è diffuso: la settimana che comincia domani potrebbe già portare la notizia del fallimento decretato dal tribunale di Verona. Non che i giudici diano sempre retta alla procura, ma l’istanza avanzata dal pm Alberto Sergi sembra avere peso specifico notevole. D’altronde, è la storia di questi ultimi mesi - un susseguirsi di «miracoli», bufale e inconcludenza - a incoraggiare lo scenario del fallimento. Ragionamento che non trova per niente d’accordo Stefano Valdegamberi, consigliere regionale e politico veronese di lungo corso, sponsor dichiarato dell’ultima offerta rimasta in piedi, quella del fondo americano De Shaw: «Conosco il professionista che li rappresenta, so che la loro proposta è molto seria. Il fallimento sarebbe una sconfitta per tutti. Anche per i creditori, destinati a rimetterci rispetto a un’eventuale proposta concordataria guidata da questo investitore».
Suscita perplessità, però, la modalità con cui la Melegatti si è presentata davanti ai giudici: dopo i continui rinvii, e abbondantemente fuori tempo massimo, l’azienda non è stata in grado di presentare un piano di concordato, chiedendo altri venti giorni. E la stessa offerta di De Shaw è stata svelata ai magistrati l’altro ieri, il giorno dopo la scadenza del termine ultimo fissato in tribunale. Questo però si spiegherebbe con la complessità dell’operazione e con la volontà di migliorare ulteriormente l’impegno, anche finanziario: il piano di investimento ha subìto da New York ben tre revisioni, l’ultima appunto poche ore prima della «missione» in tribunale. E con questo aggiornamento è stata aumentata la proposta economica, che supererebbe i 20 milioni. Per quanto riguarda le linee fondamentali del salvataggio, il fondo americano ha confermato l’intenzione di garantire l’occupazione esistente, ovvero i circa 70 dipendenti a tempo indeterminato (in realtà la cifra si sta asciugando, per effetto di dimissioni). Confermato anche l’obiettivo di far partire la produzione allo stabilimento di San Martino Buon Albergo. Il che porterebbe addirittura ad assunzioni, 30-40 persone aggiuntive.
Ma con quale business? L’uomo chiave sarebbe proprio l’uomo che si è fatto portavoce del fondo americano: Luca Longaretti è un professionista che ha al suo attivo, tra gli altri, un rapporto di consulenza con Ferrero, il gruppo che aveva già stretto un accordo con Melegatti poi stracciato - per la produzione proprio a San Martino di brioches e merendine. Longaretti quindi sarebbe il
link per far rientrare Ferrero dalla finestra e consentire quel flusso di ricavi dai prodotti «continuativi» (e non stagionali come il pandoro) così necessari per un rilancio credibile.
E a proposito di credibilità, una carta da giocare è l’identikit del potenziale cavaliere bianco: parliamo della società di gestione di fondi creata da David Elliot Shaw, sessantasettenne informatico e finanziere accreditato di un patrimonio personale di 6,2 miliardi di dollari. La compagnia gestisce a livello globale investimenti per 47 miliardi di dollari. Negli States è focalizzata sul business originario, cioé le tecnologie avanzate e i cosiddetti hedge fund che operano attraverso algoritmi, mentre la divisione europea ha allargato il suo sguardo verso aziende di buon potenziale ma con necessità di rilancio e ristrutturazione. Proprio il caso di Melegatti.
Insomma, per il gestore Usa la ventina di milioni da mettere sul piatto sarebbe poco più che una fiche, se consideriamo le dimensioni finanziarie della società, e ciò favorirebbe il giudizio sull’investitore. Ma questo da solo non basta: la vera partita, come sempre in questi casi, si gioca sui tempi e sulle garanzie che il piano di concordato è in grado di esprimere nei confronti dei creditori. In parole povere, in quale percentuale e in quali tempi si dimostra di poter rifondere fornitori e banche. In ogni caso, per gli attuali vertici il destino è segnato: se Longaretti & c. convinceranno i giudici, prenderanno in mano l’azienda ed estrometteranno il cda. Azzeramento che ovviamente sarà ancora più netto in caso di fallimento e amministrazione straordinaria.