In Pakistan: «Non fu costretta all’aborto»
Nella storia raccontata da Farah, qualcosa non torna. O almeno questo è ciò che le autorità pachistane ripetono ai giornalisti locali che chiedono notizie sul caso della ragazza prelevata la scorsa settimana dalla casa dei genitori, nel quartiere di Garhi Shashu, prima periferia di Lahore, e trasferita in Italia venerdì.
«Abbiamo indagato sul caso, interrogato Farah, i suoi genitori e alcune persone del luogo e non abbiamo trovato prove di aborto forzato», ha detto alla versione on-line di
Dawn il direttore della stazione di polizia di Garhi Shahu, Qaiser Aziz. Parole confermate anche da Pakistan Today.
Nei messaggi spediti alle amiche di Verona, la diciannovenne diceva di essere stata legata e costretta dai genitori ad abortire il figlio che portava in grembo e che sarebbe dovuto nascere ad agosto. Ma gli investigatori sostengono che la stessa Farah - sentita quando ancora si trovava a Islamabad - avrebbe ammesso di non aver subito alcun aborto in Pakistan. Lo stesso afferma la Commissione del Punjab sullo status delle donne (Pcsw), che pure ha avuto un ruolo attivo nel blitz che aveva portato alla sua liberazione: «Abbiamo richiesto dettagli alla famiglia e alla ragazza sul presunto aborto forzato in Pakistan, ma non abbiamo trovato prove», dice Imran Qureshi, consulente legale di Pcsw.
Sulla versione di Farah sono in corso verifiche da parte della questura di Verona, che però ha già trovato conferma al fatto che fosse incinta a febbraio - quando i genitori la convinsero a seguirli in patria - e che oggi non lo è più. «Qua la polizia locale la paghi 15 euro e loro ti lasciano pure morire», si legge in uno dei messaggi con cui Farah implorava di essere salvata. E in un Paese che si classifica al 117mo
Il capo della polizia Abbiamo indagato sul caso, interrogato Farah e altre persone: non c’è prova di aborto forzato
posto al mondo per livello di corruzione, in molti ricordano che le autorità pachistane inizialmente avevano bollato come «morte naturale» anche l’omicidio di Sana Cheema, la pachistana residente a Brescia.
«Quello che i media italiani hanno fatto, è vergognoso», ha detto la madre di Farah a
Dawn. «Hanno pubblicato foto e storie della mia giovane figlia senza riportare la nostra versione, distruggendo l’immagine della nostra famiglia».
La donna - esattamente come aveva già fatto suo marito parlando al Corriere di Verona
- nega di ever tenuto prigioniera la ragazza e di averla costretta ad abortire. Farah - sostiene - viveva coi familiari in Pakistan di sua spontanea volontà.
Ora si apprende che, dopo la liberazione, i genitori avrebbero fatto di tutto per impedire che la studentessa fosse riportata a Verona, presentandosi sia in tribunale che alla polizia. «Abbiamo suggerito agli agenti e ai rappresentanti del ministero degli Interni - racconta la madre - di tenere Farah a Darul Aman (il palazzo del governo pachistano, ndr) o in qualsiasi altro posto per un po’ di tempo». Speravano che, con il trascorrere dei giorni, cambiasse idea ma la ragazza ha continuato a ripetere di voler ritornare subito in Italia.
Ora la famiglia è pronta a passare al contrattacco: «Vogliamo che Farah sia posta nuovamente sotto la nostra custodia». I genitori preannunciano una battaglia legale. «Partiremo per l’Italia la prossima settimana - conclude la madre - e combatteremo perché nostra figlia ci venga nuovamente affidata». Ma Farah - che ora è sotto la custodia dei servizi sociali del Comune di Verona - è maggiorenne. E di certo non ha alcuna intenzione di tornare dai genitori.