Acciaierie, migliaia in corteo a Padova per la sicurezza Operai sempre gravi
Una distesa di bandiere, senza differenza di gruppo o appartenenza, che hanno invaso le strade del centro di Padova. E, a guidarle, uno striscione: «Vergogna, basta morti sul lavoro».
Circa cinquemila persone, arrivate da tutto il Veneto anche a bordo di 40 autobus, hanno partecipato ieri mattina alla grande manifestazione indetta dai tre sindacati Cgil, Cisl e Uil per gridare, ancora una volta, la necessità di maggiore sicurezza sul lavoro. E lo hanno fatto proprio nella città dove, il 13 maggio, nel capannone delle Acciaierie Venete una siviera contenente 90 tonnellate di acciaio fuso si è staccata dalla gru che la sorreggeva ed è precipitata in terra, investendo con schizzi di fuoco quattro operai. Due di loro, Sergiu Todita, 39 anni di origine moldava, e Marian Bratu, romeno di 43 anni, sono ancora ricoverati in ospedale, il primo a Cesena e il secondo a Padova, e lottano tra la vita e la morte, troppo gravi per affrontare gli interventi necessari. E le loro condizioni destano sempre più preoccupazione tra i colleghi: a turno vanno a trovarli in ospedale, e a breve apriranno un conto corrente per raccogliere fondi per aiutare loro e le loro famiglie, come ha detto Stefano Lazzarini, delegato Fiom dello stabilimento. Un’iniziativa simile dovrebbe prenderla a breve anche il Comune di Padova, come ha anticipato ieri mattina il sindaco Sergio Giordani che ha assistito alla manifestazione. «Pochi giorni dopo i fatti sono andato in ospedale – ha raccontato Giordani – e ho incontrato i familiari di Marian e la moglie. I colleghi mi hanno raccontato di come li hanno soccorsi, delle ustioni di quel giorno. Di mio cerco sempre di sapere come evolve la situazione». Se Giordani non è salito sul palco, l’hanno fatto i tre segretari regionali dei sindacati che, a turno, si sono alternati al microfono. «E’ ora di dire basta a questa strage incivile – ha tuonato Cristian Ferrari, Cgil –. Alle imprese spetta il compito di mettere fine a questo bollettino di guerra. Oggi da questa piazza, che è quella di Bratu, Todita e David Di Natale (il terzo operaio ancora ricoverato, in condizioni meno preoccupanti, a Verona, ndr), i lavoratori veneti dicono che non sono più disponibili a lavorare rischiando la vita. I fatti di cronaca sono il frutto di questa visione distorta della società, in cui la sicurezza è un costo. Basti pensare che il numero più alto di infortuni succede a lavoratori giovanissimi, e quindi precari, e a lavoratori anziani, costretti a stare in fabbrica per leggi assurde sull’età pensionabile».
Dall’inizio dell’anno, il Veneto ha conquistato il secondo posto per morti sul lavoro, con le sue 34 vittime, concentrate soprattutto nel metalmeccanico, nella cantieristica navale e nelle ditte in subappalto. «Il nostro obiettivo è arrivare a zero morti – ha spiegato il segretario regionale Cisl, Gianfranco Refosco -. Lancio la proposta al presidente Mattarella di dare la cittadinanza italiana ai due feriti gravi, per garantire loro tutti i diritti possibili». E dopo lo sciopero generale dei metalmeccanici di dieci giorni fa, non è detto che gli operai non tornino a incrociare le braccia. «Ogni cinque giorni in Veneto abbiamo un morto sul lavoro – ha concluso Gerardo Colamarco, segretario regionale Uil -. Questo primo maggio è stato incentrato sul tema della sicurezza, ma ora siamo di nuovo qui. Lo sciopero generale? È un argomento che non abbiamo ancora messo in soffitta». Del resto, le emergenze continuano. Basti pensare ai 400 operai delle Acciaierie Venete che, da quel fatidico 13 maggio, sono a casa dal momento che lo stabilimento è sotto sequestro, in attesa che l’Inps accetti la richiesta di cassa integrazione avanzata dall’azienda. «Con Acciaierie Venete - ha spiegato Loris Scarpa, delegato provinciale Fiom Cgil - il braccio di ferro è ancora in atto: non è chiaro come vogliono utilizzare le ferie dei lavoratori e perché stanno lavorando le ditte esterne mentre per i lavoratori di Acciaierie si parla di cassa integrazione».