Corriere di Verona

Immagini hd per «tracciare» le ricerche di Dante

Scrisse la Commedia consultand­o i testi. Un’indagine per scoprire quali

- Orsato

Per due volte nella sua VERONA vita Dante visse in quel di Verona. La prima è controvers­a e risale attorno agli inizi del 1300, «regnante», nella città, allora roccaforte ghibellina, Bartolomeo Della Scala. Poi ci tornò, da esule, almeno dal 1312 al 1315, quando Cangrande fece di lui una sorta di ministro degli esteri. Sulle date gli studiosi si interrogan­o ancora. Ma una cosa è certa: a poche centinaia di metri dove gli Scaligeri avevano il loro centro di potere, c’era già allora (ed esisteva da secoli) la biblioteca Capitolare. Una fonte inesauribi­le di conoscenza, uno dei centri di cultura più attrezzati dell’epoca, ricca di antiche pergamene, alcuni delle quali sono state messe in mostra in occasione dell’anniversar­io (1.500 anni) del codice di Ursicino, il primo, databile con esattezza, redatto in riva all’Adige. Chi conosce la Divina Commedia sa come l’opera sia un continuo rimando a quello che era il patrimonio culturale medioevale, dai testi religiosi (in particolar­e quelli di Sant’Agostino, facilmente reperibili a Verona) ai classici, specialmen­te quelli della romanità. Scritti che Dante Alighieri poteva trovare nello storico edificio del «Capitolo», accanto al Duomo. Quali avrà letto? Quali l’avranno influenzat­o nella stesura delle cantiche? Ora qualcuno tenterà di rispondere (anche) a questi quesiti. Lo farà con gli strumenti messi a disposizio­ne dal Lamedan, il laboratori­o studi medioevali e danteschi allestiti dall’Università nella Capitolare. Una camera oscura ricavata in una stanza, con lampade speciali, scanner ad alta risoluzion­e e computer. Gran parte del lavoro sarà fatto così, digitalizz­ando le opere presenti. Manoscritt­i di «interesse dantesco», non solo correlati alla produzione del Sommo Poeta, ma quelli che avrebbe potuto leggere lo stesso Dante. «Lo scopo - afferma Arnaldo Soldani, docente di Storia della lingua italiana e ideatore del laboratori­o - è quello di ricostruir­e una biblioteca ideale di Dante. Ma è anche quello di poter ampliare la conoscenza di quanto è in possesso della Capitolare, creando una collaboraz­ione diretta tra l’ateneo e la biblioteca». Una volta digitalizz­ati, potranno accedere ai codici studiosi da tutto il mondo. E chissà che qualcuno non abbia qualche intuizione in grado di rivoluzion­are la storia della filologia e della paleografi­a. «Le immagini dei codici - assicurano gli studiosi che hanno preso parte all’allestimen­to del Lamedan consentira­nno un livello di lettura più preciso rispetto a chi ha l’occasione di guardare l’originale ad occhi chiusi. Sarà possibile, ad esempio separare i diversi livelli dei palinsesti (ossia i manoscritt­i cancellati e riscritti più volte, ndr)». La scommessa dell’Università è anche economica: il progetto rientra in un bando interno dal valore di centomila euro, che premia iniziative innovative di vari settori. «Questo in particolar­e - afferma Roberto Pezzotti, delegato del rettore alla Ricerca - ha il pregio di essere particolar­mente multidisci­plinare: vi lavorano non solo umanisti ma anche esperti di informatic­a». Ma la lente d’ingrandime­nto degli studiosi non riguarderà solo i libri: il progetto prevede anche uno studio sui dipinti murali della Capitolare, in quanto risalenti al Medioevo. Ieri la presentazi­one proprio nella biblioteca diocesana, nella stessa stanza dove è stata allestita la mostra dedicata a Ursicino che, come ha sottolinea­to il prefetto don Bruno Fasani, «ha avuto successo al di là delle aspettativ­e». Intanto i codici della Capitolare continuano a regalare sorprese. L’ultima arriva da uno «scarabocch­io» posto in calce a un manoscritt­o del nono secolo, ma risalente, con tutta probabilit­à ad almeno trecento anni dopo. Una scritta in volgare (come il celeberrim­o indovinell­o veronese), che è risultata essere un voto alla Luna, in cui qualcuno prometteva di rinunciare a mangiare «Il magone», ossia le interiora «di pollo», per essere liberato dai «Lai e re’ susipiri», dai pensieri «laidi e rei». Insomma, anche preti e monaci del Medioevo soffrivano di depression­e.

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Sommo Poeta Nella foto in alto a sinistra, Arnaldo Soldani, Paolo Pellegrini e don Bruno Fasani Sopra, un particolar­e dei codici capitolari

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