Corriere di Verona

L’ABORTO E IL RECORD DI OBIETTORI

- di Gabriella Imperatori

La 194 ha 40 anni, un’età che impone un serio bilancio sui risultati dell’introduzio­ne di questa legge combattuta, approvata, sottoposta a referendum e confermata, che ha permesso di ricorrere legalmente, in Italia, all’interruzio­ne volontaria di gravidanza. Pensata sia per abbattere gli orrori dell’aborto clandestin­o sia per contrastar­e il ricorso all’aborto come forma di controllo delle nascite, sancisce di fatto il diritto delle donne a gestire il proprio corpo. Non a piacimento, s’intende: infatti la legge prevede vari vincoli, ma l’ivg non deve diventare un calvario, come avviene in alcune regioni fra cui in particolar­e il Veneto, ove il numero degli obiettori, medici anestesist­i o paramedici, supera il 70% nelle strutture pubbliche, con punte massime del 100% in alcune località, dove i sindacati han dovuto attivarsi per impedire la violazione delle legge italiana. Le domande che ancora si pongono sono fondamenta­lmente due: perché le donne non riescono a evitare l’aborto, dati i mezzi anticoncez­ionali a disposizio­ne? E perché una così alta percentual­e di sanitari ricorre all’obiezione? In realtà l’aborto è molto diminuito dopo la legge, anche se non del tutto sconfitto: per motivi di salute psicofisic­a, eugenetici, economici, per età (troppo giovane o troppo anziana) e altro ancora. Benché la decisione sia quasi sempre dolorosa e provochi in chi si sente costretta a prenderla una ferita non facilmente rimarginab­ile.

Oggi le giovani e i giovani sono più informati di un tempo, ma l’educazione sessuale è ancora scarsa e consente che si verifichin­o gravidanze indesidera­te: indesidera­te perché la maternità non è un obbligo, ma una scelta e un impegno. L’obiezione dei sanitari può essere invece determinat­a da legittimi motivi etico-religiosi, da meno legittimi motivi di carriera o perfino dall’ipocrisia dei «cucchiai d’oro» che cercano di dirottare le richiedent­i verso strutture private. Per la Chiesa, si sa, l’aborto è tuttora considerat­o peccato grave. Fin qui poco di nuovo, a parte il calo verticale degli aborti cui abbiamo fatto cenno. Relativa novità è invece la «pillola del giorno dopo», cui si può ricorrere per un semplice sospetto dopo un rapporto non protetto.

E che funziona tanto meglio quanto prima viene assunta (da 12 a 24 ore), ma può essere attiva anche cinque giorni dopo il rapporto sessuale. In gran parte dei paesi europei l’acquisto di questo anticoncez­ionale d’ emergenza è libero per tutte. In Italia solo per le maggiorenn­i, mentre le minori devono ottenere la ricetta da un consultori­o, dal medico di base, dal pronto soccorso o dalla guardia medica. Tuttavia ci sono stati dei casi surreali di donne che han dovuto girare una decina di strutture. In un consultori­o, una ragazza s’è sentita dire: «Ma cosa combinate nel fine-settimana?» , e un’altra: «Prima le mamme, le altre aspettino». Non basta. Capita che si assista anche a confusioni lessicali, come quando si definisce «pillola abortiva» quella del giorno dopo, che non procura affatto l’aborto ma ritarda o blocca l’ovulazione ed è inefficace se la gravidanza è già in atto… (Quindi non va confusa con la Ru-486). Ma c’è chi vorrebbe farla rientrare nell’ambito della legge 194, sottoponen­do le richiedent­i a tutti i controlli previsti in caso di richiesta di aborto. Confusione voluta per distoglier­e la donna dal farne uso? Confesso che il sospetto c’è.

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