Falciato a 15 anni Il papà: mi affido alla giustizia
«Tarik amava i motori, è morto in bici». L’investitore positivo all’alcoltest
Un pirata gli ha portato via il suo primogenito, Tarik Erradi, studente di 15 anni investito e ucciso in bici. Nessun accenno dal padre della vittima al pirata: «Ho perso un figlio, mi affido alla giustizia».
Nell’appartamento al secondo piano del condominio Ater di via Quadrelli, a Ronco, anche ieri è stato un continuo viavai di parenti e amici. Papà Allal, arrivato dal Marocco nel 1991, apre la porta e stringe la mano a tutti.
Nemmeno una parola per quel giovane di 26 anni che nella notte tra sabato e domenica gli ha portato via il suo primogenito, Tarik Erradi, studente di 15 anni in un istituto professionale della città. Nessun accenno al pirata che dopo l’impatto devastante, non si è nemmeno fermato a prestare soccorso per poi presentarsi in caserma da carabinieri (ancora positivo all’alcoltest) e costituirsi.
«Ho perso un figlio, non posso dire nulla. Mi affido alla giustizia e attendo quel che sarà deciso» commenta a voce bassa. Il pensiero a quella chiamata ricevuta nel cuore della notte, poco dopo l’una di domenica. La corsa fino a Villabroggia di Zevio, lungo la provinciale che suo figlio Tarik stava percorrendo in sella alla sua bicicletta bianca, insieme ad altri due amici. «Erano stati a Zevio per festeggiare un compleanno spiega Allal -. Lui si spostava in bicicletta. Avrebbe voluto tanto il motorino, voleva prendere il patentino». Saranno gli accertamenti della polizia stradale a dover chiarire esattamente la dinamica dell’incidente.
Per ora, il conducente della Volvo, un giovane residente a Tombazosana risultato positivo all’alcoltest con un valore di 0,8 grammi di alcol per litro di sangue, è stato denunciato a piede libero per omicidio stradale, omissione di soccorso e guida in stato di ebbrezza. Impossibile, vedendo i resti del veicolo, che non si sia accorto dell’impatto: la parte anteriore destra è completamente distrutta e la ruota è letteralmente esplosa. Resta però ancora da chiarire se sia stata una sua manovra imprudente a centrare il ragazzo facendolo finire nel fossato che costeggia la carreggiata, o se Tarik abbia improvvisamente sbandato invadendo il centro della corsia. Dettagli che, al momento, interessano poco al padre: «Siamo in contatto con il consolato del Marocco, mio figlio era nato in Italia e cittadino italiano, ma vorremmo riportarlo a casa. Non sappiamo ancora quando». Gli occhi si illuminano quando gli si chiede di raccontare delle passioni del suo primogenito (ha altri tre figli): «Impazziva per i motori. Non vedeva l’ora di potersi comprare un’auto tutta sua ed elaborarla. Mi diceva sempre “mica come la tua, papà” continua Allal -. E poi, come tutti i ragazzini italiani, amava la musica. Italiana, certo. Lui l’arabo non lo capiva, al massimo masticava un po’ del nostro dialetto». Sabato era stato a Zevio con gli amici: «Ci siamo salutati la sera. Siamo in Ramadan e dopo aver mangiato mi ha chiesto un po’ di soldi per la serata. Siamo andati a prelevare insieme, gli ho dato i soldi e gli ho detto di andare al bar a cambiare le banconote. Poi è partito con la sua bici». Una pedalata fino alla festa e poi, all’una circa, il ritorno. A quella casa dove papà Allal lo sta ancora aspettando.