«VI RACCONTO LA MIA VITA DA RAGAZZO DELLA VIA PAAL»
Nel dopoguerra, giornate intere trascorse in strada con gli amici di sempre, tra scianco, peta e tamburello «Ora vogliamo riportare le statue degli “Strachi” a ponte Garibaldi. E siamo sulla buona strada»
Quello di Massimo Rosa è un messaggio VERONA romantico che nel cuore di Verona trova linfa e ispirazione nella penna di Ferenc Molnàr, perché in fondo Ragazzi della Via Paal lo siamo stati un po’ tutti: classe ‘42, direttore della comunicazione del Panathlon, Rosa sta cercando di riportare le statue degli «Strachi» a Ponte Garibaldi.
La mission Massimo Rosa, classe 1942, direttore della comunicazione del Panathlon, sta cercando assieme ad alcuni amici - di riportare gli «Strachi» a Ponte Garibaldi
Tipi Veronesi è una nuova proposta del Corriere di Verona. Il senso dell’iniziativa è quella di raccontare, attraverso la storia di personeggi più o meno famosi, l’evolversi della nostra città. Uno sguardo al passato rivolto al futuro, affidato alla penna del nostro collaboratore Lorenzo Fabiano. Per eventuali segnalazioni scrivere a c o r r i e r e d i v e r o na@rcs.it o a lorenzo.fabiano@me.com
Un racconto che parte da lontano, quando per giocare in strada non dovevi attendere i giorni del Tocatì ma solo la fine della scuola e le prime luci di un mattino estivo. Quattro statue su un ponte, quale onirico anello di congiunzione tra passato e presente. Quello di Massimo Rosa è un messaggio romantico che nel cuore di Verona trova linfa e ispirazione nella penna di Ferenc Molnàr, perché in fondo Ragazzi della Via Paal lo siamo stati un po’ tutti. Papà di Roma, mamma siciliana, nonna piemontese, bella miscela. Massimo viene alla luce nel 1942 in Piazza Cittadella, i venti di guerra spingono la famiglia prima a Bardolino e poi a Grezzana: «Tornammo nel 1945 e ci stabilimmo in Borgo Trento. Allora era campagna ai limbi della città». È lì tra il civico 17 e il 19 di via Prato Santo che la storia dei Ragazzi della Via Paal ha inizio. Tre amici Massimo, Luigi De Paoli, e Francesco Tirozzi, cui si sarebbero aggiunti Fabrizio Sordi e Beppe Bonanno: «Ci ritrovammo nel libro di Molnàr, tante piccole bande. Via Tonale era allora sterrata, la chiamavamo “La Stradina”: era il nostro feudo dove ci sfidavamo a la peta, il tamburello, lo scianco, le picie, e i Giri d’Italia con i tappi della gazzosa». Giornate intere trascorse in strada tra rivalità e baruffe, la sera a letto presto, l’indomani di nuovo tutti lì: «Oggi provo tristezza a vedere come crescono i ragazzi in un mondo d’incomunicabilità e solitudine». Negli anni dell’adolescenza, la combriccola si sposta all’Arsenale, il quadretto è felliniano: «La vasca era il Maracanà, fucina di talenti calcistici, il bar l’Università del Poker: lo gestiva un romagnolo, tal Mario Guberti, simpatie littorie, uno che ogni anno nel giorno dell’anniversario della Marcia su Roma alzava il tricolore. Il caffè ristretto te lo serviva nella tazzina legata con lo spago. Girava in Lambretta: una volta gliela smontammo e con i pezzi organizzammo la caccia la tesoro, lui andò su tutte le furie ma era un bonaccione».
Da adolescente, la vasca dell’Arsenale era il Maracanà, fucina di talenti calcistici, mentre il bar adiacente l’Università del Poker
Il tempo disperde ognuno per la propria strada. Il padre di Massimo ha un attività legata al settore alberghiero; nel 1965 Massimo va a lavorare per lui a Grenoble; due anni dopo porta all’altare Graziella, sua fidanzatina già ai tempi della scuola. Quindi è la volta di Tunisi e via così fino al rientro in Italia e al 1980 quando decide di cambiare vita dedicandosi alla comunicazione, un fuoco che gli arde dentro da un bel pezzo. Dopo gli esordi a TeleArena, Sergio Rivoldini lo chiama a Canale 65, emittente sensibile agli sport alternativi: «Da lì partirono Roberto Puliero e un giovane deejay che si faceva chiamare Amadeus. Canale 65 non ebbe molta fortuna, ma sfornò talenti in un periodo di forte vena». Rosa scrive per la Gazzetta dello
Sport e il Sole 24 Ore, entra nel Panathlon di cui è presidente dal 2001 al 2008 e oggi direttore dell’Area Comunicazione. Tante belle cose, ma è una su tutte a scaldargli il cuore. Fatto saltare dai tedeschi il 26 aprile del 1945 (era stato ricostruito nel 1935 in cemento armato), il Ponte Garibaldi è orfano delle quattro statue che lo adornavano; il Condottiero, il Nocchiero, l’Agricoltura, e la Madre (simboleggiavano i quattro maggiori fiumi italiani) ma che i veronesi chiamavano bonariamente «gli strachi» per la loro espressione stanca. È proprio sul ponte che I Ragazzi della via Paal si ritrovano: «In ferro, senza le statue, ma che brutto! Ci dicemmo. Così iniziammo a raccontare la sua vera storia alla gente. Al nostro gruppo si è unito ad honorem Alberto Banterle, figlio di Ruperto Banterle che nel 1939 realizzò l’ultima versione degli Strachi prima che andassero distrutti». La macchina si mette in moto, l’idea di ridare al ponte il suo vecchio lustro è così portata all’attenzione dei veronesi: «Come andemo con gli Strachi? La gente ci chiede. Il gruppo è attivo su Facebook (una concessione ai tempi moderni, ndr)». La questione entra nel palazzo della politica: «Dopo i colloqui avviati con la precedente amministrazione, abbiamo avuto un incontro con l’assessore Francesca Briani. La consigliera comunale Paola Bressan è una nostra sostenitrice, così come la presidente della Commissione Cultura Daniela Drudi. L’Associazione Marmisti della Valpolicella ci ha appena comunicato la disponibilità a farsi carico del rifacimento delle statue. Il progetto della posa è al vaglio dal punto di vista tecnico. Siamo sulla buona strada». Speriamo bene. Le nostre città stanno perdendo pezzi d’anima; con gli “strachi” I Ragazzi della Via Paal vogliono ridargliela.