1948, la Biennale di Peggy Così l’Europa scoprì Pollock
La Guggenheim ricorda i 70 anni dall’«esordio» veneziano della collezionista: nel padiglione greco portò i grandi artisti americani da Baziotes a Rothko. L’incontro con Einaudi
Il posto d’onore era riservato a Picasso e alle sue eccentriche bagnanti dall’aspetto mostruoso e voluminoso. Realizzato nel 1937, mentre era in corso la guerra civile spagnola e si addensavano le nubi del conflitto mondiale, Sulla spiaggia (La
Baignade) era e rimane un quadro di grande impatto, dove la deformazione di queste donnecetacei che sorgono dal mare è brutale e primordiale.
Non si era mai vista in Italia una raccolta così di «rottura», nel Novecento, come quella che presentò Peggy Guggenheim tra le mura del Padiglione Greco alla Biennale di Venezia del 1948. Portava anche artisti americani, da Jackson Pollock a Mark Rothko, mai esposti al di fuori degli Stati Uniti. Nel 70esimo anniversario, la Collezione Peggy Guggenheim presenta a Palazzo Venier dei Leoni la mostraomaggio «1948: la Biennale di Peggy Guggenheim», a cura di Gražina Subelyte. Fino al 25 novembre, nelle Project Rooms del museo sul Canal Grande scorrono documenti, lettere, fotografie e alcune delle opere allora in mostra, quali Composizione n.
113 (1939) di Friedrich Vordemberge-Gildewart e Composizione (1936) di Jean Hélion, che dopo gli anni ‘50 non sono mai state esposte a Venezia. Una rassegna speciale anche grazie a un plastico, curato da Ivan Simonato, che ricostruisce quell’allestimento firmato Carlo Scarpa e riproduce fedelmente, miniaturizzata, ogni singola opera. Permette di rivivere l’atmosfera e di «entrare» in quel padiglione che rappresentò uno shock fra gli spettatori che affollavano la prima Biennale del dopoguerra. «Fu come stappare una bottiglia di champagne, un’esplosione di arte moderna dopo che la Nazione aveva tentato d’ucciderla» disse il segretario della Guggenheim, Vittorio Carrain. Ai lati di Sulla spiaggia un altro capolavoro picassiano, L’Atelier,
Femme Assise II di Joan Mirò e due iconiche sculture di Constantin Brancusi, Maiastra e
L’Oiseau dans l’espace. Dalla maquette emerge come tutte le scuole artistiche fossero egregiamente rappresentate, dal Cubismo al Futurismo, dal Dadaismo al Surrealismo, dagli italiani Balla, Severini, de Chirico e Campigli, ad Ernst, Arp, Giacometti, Malevich, Mondrian, Tanguy.
La sala che destò maggior sconcerto fu quella dedicata agli espressionisti d’oltreoceano, che comprendeva cinque tele di Pollock e lavori di William Baziotes, Rothko e Clyfford Still. L’irrompere nel Vecchio Continente dell’inquietudine dei dripping pollockiani «segnò una pietra miliare», sottolinea la direttrice della Guggenheim Karole Vail. Nel padiglione delle meraviglie della Signora Guggenheim - invitata a partecipare dal segretario generale della Biennale Rodolfo Pallucchini su consiglio dell’artista Giuseppe Santomaso - vennero esposte 136 opere di 73 artisti, presentate da Giulio Carlo Argan: «Di queste - spiega la curatrice - 110 fanno tuttora parte della collezione». Peggy ricevette in visita l’allora presidente Luigi Einaudi, di fronte al quale riuscì a pronunciare solo qualche parola. Lo accolse sotto i grafismi in fil di ferro di un «mobile» di Alexander Calder. A rendere memorabile quella Biennale, anche una rassegna sull’Impressionismo proposta da Roberto Longhi, una retrospettiva su Picasso e una mostra che restituiva nuova dignità all’arte bollata come «degenerata» dal nazismo di artisti come Dix, Hofer e Pechstein.