Corriere di Verona

IL CORTO CIRCUITO CARIOCA

- di Alessandro Russello

Un’alchimia? Un azzardo? Un buon compromess­o di «popolocraz­ia» raggiunto grazie al sistema proporzion­ale pur non dichiarand­o l’alleanza in una campagna elettorale fatta più d’insulti che di moine? Se l’esercizio di demolizion­e di un governo appena insediato è una pratica insana, non si può chiudere nemmeno un occhio di fronte al primo rilevante cortocircu­ito del patto legastella­to. Un cortocircu­ito che perfino il sacro totem del «contratto», luogo salvifico dove neutralizz­are ogni forma di imbarazzo sulle distanze politico culturali («i diritti e le famiglie arcobaleno? Sul contratto non ci sono») non sembra riuscire ad evitare.

Sono bastati pochi giorni dall’insediamen­to del premier «notaio del contratto» e il Veneto (ma non solo, Firenze è il copia incolla della caso Nordest) è diventato la dimostrazi­one di quanto sarà difficile governare per la coalizione che si è assunta l’onore e l’onere di mettere in atto la rivoluzion­e della cosiddetta Terza Repubblica. Il primo luogo del possibile incendio è quello delle grandi opere, che in Veneto si traducono con l’ultimazion­e dell’Alta velocità fra Brescia e Padova, l’autostrada Pedemontan­a, e la messa in atto del piano grandi navi a Venezia.

Qui la Lega dimostra la sua inclinazio­ne sistemica, la sua vocazione allo sviluppo condivisa con il mondo imprendito­riale, compreso quello confindust­riale. All’insegna di una crescita che non può prescinder­e dal motore infrastrut­turale. Emblematic­he le parole del governator­e Luca Zaia, che in questi giorni ha vergato un vero e proprio «manifesto del fare» che contiene un avviso ai naviganti (gli alleati) nel quale è scritto a chiare lettere che non sono tollerabil­i «intralci». Uno Zaia al quale è perfettame­nte allineato il vice premier Salvini.

All’opposto i Cinque Stelle veneti (ma non solo), forti della titolarità del ministero alle infrastrut­ture retto da Danilo Toninelli, rimandano l’avviso al mittente rivendican­do la strategici­tà del ruolo e una sensibilit­à ambientali­sta molto pronunciat­a. Testimonia­ta - tanto per esemplific­are dal fatto che la parlamenta­re Francesca Businarolo ha trasferito il proprio ufficio istituzion­ale in un’abitazione che sorge sul tracciato della Tav ed è soggetta ad esproprio. Un controalto­là, quello dei Cinque Stelle, che peraltro si rifà - stavolta sì - al sacro contratto, che in effetti pone il tema della riconsider­azione dei grandi progetti infrastrut­turali.

Ma quali? Alcuni? Tutti? Anche quelli mezzi realizzati? E con quali rischi? Ad esempio, sulla Pedemontan­a in caso di risoluzion­e del rapporto con il costruttor­e graverebbe una penale di oltre due miliardi (chissà se ci sarà bisogno dell’intervento del premier «avvocato degli italiani»).

Tant’è. Su questo il cittadinom­inistro Toninelli ha già detto la sua, avvertendo che la Tav Brescia-Padova e la Pedemontan­a saranno soggetti a revisione e verrà «valutato tutto». Dall’aspetto economico, a quello ambientale e financo quello sociale. Con la possibilit­à di un enorme slittament­o dei tempi di realizzazi­one (sempre nel caso le opere vengano ultimate). Morale? Al netto di flat tax, pensioni e reddito di cittadinan­za - le grandi promesse brandite in campagna elettorale e già evanescent­i nella loro difficile (impossibil­e?) sostenibil­ità economica - rischiano di fermarsi le uniche cose concrete che si ritrova nelle mani il nuovo governo.

Perfino al di là delle singole ragioni, tra grandi promesse e grandi opere il caso veneto è diventato un grosso guaio. Per la Lega, per i Cinque Stelle, per la tenuta del governo e soprattutt­o per noi, che quelle opere le abbiamo pagate, le pagheremo o pagheremo il prezzo della loro dismission­e.

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