IL CORTO CIRCUITO CARIOCA
Un’alchimia? Un azzardo? Un buon compromesso di «popolocrazia» raggiunto grazie al sistema proporzionale pur non dichiarando l’alleanza in una campagna elettorale fatta più d’insulti che di moine? Se l’esercizio di demolizione di un governo appena insediato è una pratica insana, non si può chiudere nemmeno un occhio di fronte al primo rilevante cortocircuito del patto legastellato. Un cortocircuito che perfino il sacro totem del «contratto», luogo salvifico dove neutralizzare ogni forma di imbarazzo sulle distanze politico culturali («i diritti e le famiglie arcobaleno? Sul contratto non ci sono») non sembra riuscire ad evitare.
Sono bastati pochi giorni dall’insediamento del premier «notaio del contratto» e il Veneto (ma non solo, Firenze è il copia incolla della caso Nordest) è diventato la dimostrazione di quanto sarà difficile governare per la coalizione che si è assunta l’onore e l’onere di mettere in atto la rivoluzione della cosiddetta Terza Repubblica. Il primo luogo del possibile incendio è quello delle grandi opere, che in Veneto si traducono con l’ultimazione dell’Alta velocità fra Brescia e Padova, l’autostrada Pedemontana, e la messa in atto del piano grandi navi a Venezia.
Qui la Lega dimostra la sua inclinazione sistemica, la sua vocazione allo sviluppo condivisa con il mondo imprenditoriale, compreso quello confindustriale. All’insegna di una crescita che non può prescindere dal motore infrastrutturale. Emblematiche le parole del governatore Luca Zaia, che in questi giorni ha vergato un vero e proprio «manifesto del fare» che contiene un avviso ai naviganti (gli alleati) nel quale è scritto a chiare lettere che non sono tollerabili «intralci». Uno Zaia al quale è perfettamente allineato il vice premier Salvini.
All’opposto i Cinque Stelle veneti (ma non solo), forti della titolarità del ministero alle infrastrutture retto da Danilo Toninelli, rimandano l’avviso al mittente rivendicando la strategicità del ruolo e una sensibilità ambientalista molto pronunciata. Testimoniata - tanto per esemplificare dal fatto che la parlamentare Francesca Businarolo ha trasferito il proprio ufficio istituzionale in un’abitazione che sorge sul tracciato della Tav ed è soggetta ad esproprio. Un controaltolà, quello dei Cinque Stelle, che peraltro si rifà - stavolta sì - al sacro contratto, che in effetti pone il tema della riconsiderazione dei grandi progetti infrastrutturali.
Ma quali? Alcuni? Tutti? Anche quelli mezzi realizzati? E con quali rischi? Ad esempio, sulla Pedemontana in caso di risoluzione del rapporto con il costruttore graverebbe una penale di oltre due miliardi (chissà se ci sarà bisogno dell’intervento del premier «avvocato degli italiani»).
Tant’è. Su questo il cittadinoministro Toninelli ha già detto la sua, avvertendo che la Tav Brescia-Padova e la Pedemontana saranno soggetti a revisione e verrà «valutato tutto». Dall’aspetto economico, a quello ambientale e financo quello sociale. Con la possibilità di un enorme slittamento dei tempi di realizzazione (sempre nel caso le opere vengano ultimate). Morale? Al netto di flat tax, pensioni e reddito di cittadinanza - le grandi promesse brandite in campagna elettorale e già evanescenti nella loro difficile (impossibile?) sostenibilità economica - rischiano di fermarsi le uniche cose concrete che si ritrova nelle mani il nuovo governo.
Perfino al di là delle singole ragioni, tra grandi promesse e grandi opere il caso veneto è diventato un grosso guaio. Per la Lega, per i Cinque Stelle, per la tenuta del governo e soprattutto per noi, che quelle opere le abbiamo pagate, le pagheremo o pagheremo il prezzo della loro dismissione.