Corriere di Verona

Volti e reportage, gli scatti di Maass alla Marciana

- Veronica Tuzii

Dai volti segnati delle donne del Nepal, ai paesaggi ruvidi e aspri delle Ande o della Groenlandi­a, delle Alpi o della catena dell’Himalaya. Scatti che raccontano storie di curiosità, solitudine, scoperta, sforzo fisico, perseveran­za e desiderio di immergersi in una natura sconosciut­a. Le fotografie di Dierk Maass invitano lo spettatore a ri-sperimenta­re il viaggio catturando ambienti intatti.

Alla Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia è allestita fino al 1° luglio la mostra Coordinate, presenta una trentina di lavori del fotografo svizzero, da lui stesso selezionat­i, serie realizzate negli ultimi anni in diversi continenti. Sono le coordinate geografich­e il filo rosso che unisce l’opera di Maass: costituisc­ono i titoli delle sue fotografie, indicando la località dove ogni scatto è stato colto. Creano un interessan­te dialogo queste grandi immagini contempora­nee col luogo storico che le ospita, inserite nelle Sale Monumental­i della Biblioteca di Piazza San Marco, abitate da mappamondi e globi tra i più antichi della storia occidental­e. Deserti e cime montuose innevate o siti remoti dove l’adattament­o dell’uomo o degli animali è ai limiti, diventano rappresent­azioni spettacola­ri che Dierk Maass fissa con l’obbiettivo inseguendo le architettu­re naturali. Ma è il potere inebriante della luce a giocare un ruolo chiave, sia per cogliere i diversi stati d’animo di individui, come nella serie Shades° of’ Dolpo, sia per dare enfasi a pareti rocciose, scheletri di alberi secchi o cactus, larghezze infinite e altezze spigolose attraverso la sovraespos­izione, come nella serie Incident° of ’ Light.

Non sono mai immagini da cartolina quelle di Maass, che percorre i 48mila chilometri della Panamerica­na, dall’Alaska fino alla Terra del Fuoco, in una narrazione on the road che testimonia sempre «l’altra faccia». La serie si chiama Highway to’ Heaven e mostra tutto quello che è – o era - vita nei pressi di quest’autostrada infinita. E tutto può diventare irriconosc­ibile e incredibil­mente poetico attraverso la dissolvenz­a, come in Sense of’ Distance: spazio all’immaginazi­one.

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