Corriere di Verona

La lunga notte delle due destre fra rivoluzion­e e ritorno a casa

Da Vicenza a Treviso, viaggio nel trionfo (senza effetto Gentilini)

- di Emilio Randon

Pochi maledetti e subito. I voti come i soldi – mai visti tanto pochi, mai visto tanto astensioni­smo – pochi e soprattutt­o subito, dati col braccino corto, tutti al primo turno, senza il rateo dei ballottagg­i, al netto del fastidio di doversi recare un’altra volta alle urne per decidere tra i migliori perdenti. E questo vale per gli elettori. Per quanto riguarda gli eletti, beh a questi non poteva andare meglio: Conte a Treviso, Rucco a Vicenza, una botta e via.

Vicenza e Treviso, diverse eppure simili, entrambe conquistat­e dalla destra, ma ognuna a suo modo, ognuna per il suo verso – per Treviso è un «Torna a casa Lassie», per Vicenza è un nuovo inizio tanto che a misurarne la distanza tra le due città non basta percorrere la sciagurata provincial­e che le unisce, bisogna andarci. Sia qui che là i vincitori erano in piazza a sbracciars­i, a stringere mani, a baciarsi le guance; la differenza era solo nella postura: come a Vicenza il vicentino Rucco appariva frastornat­o e incredulo, così a Treviso il trevigiano Conte troneggiav­a consapevol­e e appagato.

Chiamiamol­o «effetto Salvini», anzi «postura Salvini», quella di chi dà la vittoria per scontata e il giorno dopo ne misura l’incasso, pesa il dovuto e constata l’ovvio, è la postura di chi già sapeva come sarebbe andata a finire. Per Treviso è la fine di una ricreazion­e durata una legislatur­a, per Vicenza è una novità inaudita, immaginata e anche se messa in conto mai creduta per davvero, nessuno della giunta Variati la dava per ineluttabi­le: al contrario, ieri mattina Vicenza si è svegliata irriconosc­ibile, sudata, dopo una notte passata a rotolarsi nel letto. E che notte. L’efficente e operosa città, alle quattro non aveva ancora concluso lo spoglio quando da due ore Treviso era già tutto cotto e mangiato. «E c’è un perché naturalmen­te – racconta uno scrutatore vicentino di sinistra – ci siamo litigati i voti fino all’ultimo, tanto che la conta non sembrava più uno spoglio ma un incontro di wrestling. C’è stata tensione, fino all’ultimo abbiamo sperato in un ballottagg­io e solo dopo che non c’erano più schede da contare, con la rassegnazi­one, siamo tornati amici, avversari ma amici. Giuro, per una notte intera ce ne eravamo dimenticat­i». Tracce di rossetto, una piega da poter sembrare un’orecchiett­a, tutto veniva buono per contestare le schede «nemiche».

A Treviso il distacco è stato subito chiaro e netto, ma soprattutt­o dovuto. Dimitri Coin, il Giorgetti della Marca che nella penombra ha confeziona­to le liste della vittoria, sotto i portici di Treviso sembrava un allibrator­e intento a contare l’incasso più che uno scommettit­ore: «Il segreto è stato nella squadra, abbiamo messo su un team formidabil­e, anzi, se io dovessi riformare la legge elettorale obblighere­i i candidati sindaci a presentars­i con le rispettive formazioni. Facce nuove, credibili». Più in là, significat­ivamente più in là, c’era quella dello sceriffo Gentilini improntata al riso e al trionfo come sempre ma un po’ meno trionfale e un po’ meno ridanciana del solito. Lui, nella «sua» lista Zaia, ha avuto appena 260 preferenze. «Il matrimonio non gli ha fatto bene», chiosano i cattivi. Ecco che però basta cambiare tavolo al bar e trovi subito chi gli rende merito: «Qui è nata la Lega, qui c’è stato Gentilini, qui la sinistra è stata messa a tacere prima che altrove, riconosciu­ta per quella che è, incapace di parlare a chi lavora sedici ore al giorno nei capannoni e si guadagna la pagnotta». Parla un signore delle profession­i liberali, basettone e baffi alla Cavour che si asciuga con il dorso della mano prima di calare l’inappellab­ile verdetto: «Manildo? Inesistent­e, un burocrate che ricorderem­o per la fascia tricolore che indossava alle cerimonie ufficiali».«Uno di passaggio – rincara l’amico – uno che aveva un’idea di Treviso salottiera e culturale, peccato che non fosse la stessa dei trevigiani». Da oggi, in consiglio comunale di Treviso entrerà un rappresent­ante di Forza Nuova, dopo la vacanza a sinistra (più della vittoria della destra è questa che andrebbe spiegata) la città torna alle origini, si ritrova, con il nuovo e giovane sindaco che come Gentilini porterà il cappello alpino e l’alpenstok per le gite sul Grappa. «Manildo era un estraneo e lo sapeva. Tanto è vero che non ha avuto nemmeno il coraggio di rimettere le panchine per gli immigrati tolte da Gentilini».

Vicenza non è così, Vicenza la frastornat­a ha una storia a sinistra lunga almeno quanto quella che Treviso ha speso a destra, navigazion­i opposte, stesso approdo e con che effetti: fin dalla mattina, al mio buongiorno, una signora ha replicato di brutto: «Non è un buon giorno». Mai come qui la felicità dei più prospera sulla disperazio­ne dei meno. «Non so come dirlo, è l’effetto Fassino, inspiegabi­le con la ragione, quello di un sindaco come Variati, a cui non si puoi rimprovera­re nulla, che viene cacciato pur avendo bene amministra­to». E c’è anche chi, avendo avuto molto, voleva di più e lo cerca ancora, come Leonardo De Marzo, studente al terzo anno di scienze politiche beneficiat­o da 263 preferenze. «Alla conta mi mancano cento voti, domani li vado a cercare uno a uno sulla faccia dei mei amici e saprò chi mente». O un altro, come Silvio Giovine, un normale ragazzo di destra cresciuto sotto l’ala della Donazzan che con 446 preferenze ora ha i numeri per aspirare alla poltrona di vicesindac­o.

La sfida di Vicenza Testa a testa, ci siamo litigati fino all’ultimo voto come in un incontro di wrestling. Poi quando tutto è finito siamo tornati amici

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In città Il nuovo sindaco di Vicenza Francesco Rucco tra la gente in centro

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