Aggancio a Milano e Bologna Assindustria Veneto Centro lancia la sfida metropolitana
Imprese, lavoro, servizi: Padova-Treviso si candida a perno veneto
VENEZIA La portata della sfida sta già nel titolo dell’assemblea di venerdì, al Palaexpo di Marghera: «Costruire il nuovo triangolo industriale». Slogan con ambizioni su più dimensioni, quello che sta alla base della fusione tra Confindustria Padova e Unindustria Treviso in Assindustria Veneto Centro. Sfida, intanto, in Confindustria, tra l’altro sul palcoscenico che ospitò due anni fa l’assemblea di Sistema Aperto, l’alleanza sui servizi tra Padova, Treviso e Vicenza, in un clima già da separati in casa che di lì a poco avrebbe visto l’uscita di Vicenza. Perché è di tutta evidenza che la fusione Padova-Treviso completa, con l’Assolombarda Milano-Lodi-Brianza e con Confindustria Emilia che ha unito Bologna, Modena e Ferrara, il lotto delle «maxi territoriali» che si pongono un gradino sopra alle tradizionali Confindustrie provinciali, anche quelle di maggiori dimensioni.
Che poi le tre territoriali di Milano, Bologna e Padova-Treviso stiano nel campo che sostenne due anni fa l’elezione del bolognese Alberto Vacchi contro l’attuale presidente Vincenzo Boccia, è altro fatto di tutta evidenza. Due modelli di Confindustrie che si troveranno di fronte proprio a Marghera: da un lato nella conversazione che mette insieme guarda caso i presidenti di Assolombarda e Confindustria Emilia, Carlo Bonomi e Alberto Vacchi, dall’altro nelle conclusioni che dovrà tirare a fine giornata Boccia.
E poi c’è che la nuova Assindustria si candida a diventare il riferimento regionale in Confindustria, dopo la scomparsa di un ruolo pubblico forte di Confindustria Veneto. Lo dimostra anche solo il fatto che l’assemblea di venerdì - scomparse le assemblee delle grandi banche, stravolta la scansione tradizionale d’inizio estate di quelle confindustriali, congelato il Rapporto di Fondazione Nordest, che nella nuova gestione guidata da Carlo Carraro deve spostarsi forzatamente a ottobre - è anche visivamente l’unico evento di rilievo di cui si discute di temi portata regionale.
Che dovrà confrontarsi con un tema di fondo di non poco rilievo. Perché per costruire il nuovo triangolo industriale del Nord, basato sul modello della multinazionale tascabile hi-tech, il Veneto deve prima ricostruire il terzo vertice della figura geometrica, per poter dialogare con due realtà metropolitane come Milano, capitale di tutto a partire dalla finanza, e Bologna, che al sistema produttivo lega nodi logistici e infrastrutturali. Questione che fin qui il Veneto ha rimosso, dopo l’implosione delle due banche popolari, con il riferimento finanziario sempre più spostato su Milano (e venerdì a parlare in assemblea ci sarà il manager di Intesa, Carlo Messina), e il trasferimento di servizi come le multiutility e le fiere, da Padova in Hera a Vicenza in Ieg. Messa così, come evitare che la «dote» industriale che il Veneto consegna al nuovo triangolo non trovi tout court a Milano e Bologna i riferimenti?
Forse permettendo che l’agenda di quel che c’è da fare si delinei a partire dalla base industriale. «Riconoscere un asse nel triangolo lombardoveneto-emiliano è operazione giusta - ragiona Stefano Micelli, l’economista che da direttore della Fondazione Nordest lo aveva messo al centro del Rapporto Nordest 2017 -. Certo, la dimensione è doppia: dar voce al modello industriale e guardare ai servizi».
Ma anche l’ordine non è casuale. «È giusta un’operazione di rappresentazione del modello industriale del nuovo manifatturiero, che privilegia la personalizzazione alla scala. Ed è giusto costruirlo su una piattaforma allargata al Nord aggiunge Micelli -. Giusto, perché nonostante questo modello ci abbia salvato dalla crisi e che quelle medie aziende siano gli alfieri del Made in Italy, tra tecnologia e design, nel dibattito nazionale non hanno cittadinanza. Schiacciate in un dibattito paradossale che oppone ancora il piccolo al grande, l’Ilva ai Riders».
Con un effetto, per Micelli: «Se quello schema non viene rappresentato, non hanno cittadinanza nemmeno i temi collegati, i modelli di territorio e di lavoro, che si porta dietro i giovani, che quelle imprese esprimono: un lavoro fatto di competenze e di persone su cui investire; giusto il contrario dei ‘lavoretti’ e della Gig economy. O noi rappresentiamo queste imprese o rimarremo impigliati nelle rappresentazioni caricaturali che continua ad esempio a fare la politica».
A cascata, i servizi: «Sì, è vero in Veneto si poteva fare di più - dice Micelli -. Ma attenzione, abbiamo portato a casa un competence center, che sarà fondamentale per i servizi a valore aggiunto del futuro; e abbiamo i scuole e università di livello. E il modello d’impresa aiuta a discriminare: chiaro che non si può dire no alla Tav Brescia-Verona».