Mazzette concordate al ristorante e nascoste con false fatturazioni
Dalle carte dell’accusa, i retroscena dell’inchiesta sulle perizie agli «amici». Col giudice Berto coinvolti legali
Mazzette concordate al ristorante. Tangenti «mascherate» con false fatturazioni. Denunce via whatsapp. Sono solo alcuni dei risvolti dell’inchiesta con cui la procura di Trento sta tentando di far luce su un presunto giro di soldi che, per il pm Carmine Russo, sarebbero finiti nelle mani (anzi, nelle tasche) dell’avvocato nonché giudice onorario a Verona Cristiano Berto.
VERONA Mazzette concordate al ristorante. Tangenti «mascherate» con false fatturazioni. Denunce via whatsapp.
Sono solo alcuni dei risvolti dell’inchiesta con cui la procura di Trento sta tentando di far luce su un presunto giro di soldi che, per il pm Carmine Russo, sarebbero finiti nelle mani (anzi, nelle tasche) dell’avvocato nonché giudice onorario a Verona Cristiano Berto. Quest’ultimo, con il blitz attuato dalla Finanza il 9 maggio, è stato posto ai domiciliari per corruzione. Stessa sorte per un architetto veronese, Dino José Rancan: a metterli nei guai, la presunta assegnazione da parte di Berto a Rancan di incarichi come perito immobiliare in cambio della restituzione del 10 per cento dei compensi. E la prova, sempre secondo gli inquirenti, risulterebbero 850 euro in contanti trovati a casa di Rancan e che secondo la procura erano destinati a Berto. Circostanze su cui il giudice onorario, difeso dal legale Fabio Pinelli, è stato appena ascoltato dal pm a cui «ha fornito chiarimenti». E mentre la difesa di Berto si accinge a chiederne il ritorno in libertà con un’istanza al gip, dalle prime informative in mano alla procura trentina si scopre che effettivamente, a dare il via all’intera indagine, è stato un altro giudice veronese, l’allora presidente della sezione fallimentare Andrea Mirenda.
Era stato proprio quest’ultimo, con un’audizione spontanea resa in procura a Verona il 21 luglio 2017, a segnalare per primo la notizia di reato che ora è al centro dell’inchiesta. Dagli atti al vaglio dal pm Russo, che vedono indagati a piede libero anche l’avvocato veronese Marco Bertaso (che, tramite il legale Luca Tirapelle, ha presentato un memoriale difensivo al pm) e il commercialista padovano Gian Marco Rando, si scopre che «in Tribunale a Verona il giudice Berto era alquanto chiacchierato». Ed emerge anche il presunto modus agendi, attuato ad esempio a una cena in cui Berto avrebbe proposto a Bertaso l’affidamento di incarichi di custodia di beni destinati all’esecuzione giudiziaria in cambio di un illecito compenso a proprio favore pari al 15% dell’ammontare dell’incarico. In cambio, Berto avrebbe indicato di voler ricevere l’indebita dazione attraverso false fatturazioni per consulenze che il commercialista Rando (presente alla cena) avrebbe potuto emettere nei confronti di Bertaso. Accuse da dimostrare e finora negate dagli indagati.
L’accusa Nel mirino di Fiamme gialle e pm, il presunto affidamento di incarichi a periti «amici»