L’archeologa che indaga sui Neanderthal
Daniela Rosso, premio Unesco, studierà i pigmenti artificiali nella grotta di Fumane
L’archeologa Daniela Rosso studierà i pigmenti alla grotta di Fumane, per provare l’intelligenza degli antichi abitanti. L’università di Ferrara e il professor Marco Peresani, che da anni studia il sito, hanno chiamato una ricercatrice a scoprire il segreto di quel colore. E la scelta è caduta su Rosso, trent’anni, una delle studiose più promettenti d’Europa. «Un colore dimostra avanzate capacità di comunicazione, l’esistenza di riti e tradizioni», spiega.
Nel disegno realizzato sette anni fa per la copertina di National Geographic, l’illustratore aveva azzardato qualcosa di più rispetto alle notizie che arrivavano dalla grotta di Fumane. Alla fiera figura del Neanderthal, penne sui capelli intrecciati e collana d’artigli, come un capo indiano, aveva aggiunto, sul viso, alcuni segni di colore rosso, giocando, forse, sul suggestivo paragone con i nativi americani. Un’intuizione azzeccata. Negli anni successivi, nel riparo preistorico della Valpolicella sono spuntati proprio gli artigli, usati come ornamento ed è spuntata della tintura: pigmenti residui su conchiglie e frammenti di roccia. Colore che solo una mano umana, anche se non non esclusivamente della specie sapiens sapiens, bensì anche degli antichi abitatori del luogo, i Neanderthal, per l’appunto, poteva stendere su quelle superfici. Colore che, con tutta probabilità, aveva un significato preciso. Yuval Harari, storico dell’università ebraica di Gerusalemme e autore di bestseller sui primordi dell’umanità, lo chiama «ordine immaginario».
Daniela Rosso, archeologa, lo definisce «ciò che fa di un essere umano un essere umano». Per decenni gli studiosi «sapiens sapiens» hanno pensato che i loro parenti alla lontana non fossero capaci di «pensiero simbolico», ossia di astrazione, gli indizi che arrivano dalla grotta di Fumane sembrano provare l’esatto opposto. E ora l’università di Ferrara e il professor Marco Peresani, che da anni studia il sito, hanno chiamato una ricercatrice a scoprire il segreto di quel colore. E la scelta è caduta su Rosso, trent’anni, una delle studiose più promettenti d’Europa. È tra le vincitrici del premio L’Oreal-Unesco «Per le donne e la scienza»: una borsa di studio del valore di 20 mila euro, elargita a lei e ad altre cinque ricercatrici scelte tra centinaia. A far pesare la scelta la scelta della commissione, la preparazione multidisciplinare di Rosso, torinese laureatasi in Spagna. «La mia passione è nata da bambina, quando ho avuto l’opportunità di visitare con i miei genitori una serie di siti archeologici: tra questi quelli preistorici al confine tra Spagna e Francia». Finché, un master non la porta fino in Africa, in Etiopia una grotta abitata durante l’età della pietra, dove, in un’équipe coordinata dal professore Francesco D’Errico dell’università di Bordeaux, si concentra su un ritrovamento di ocra: quaranta chili di pigmento utilizzato da popolazioni preistoriche. «Un colore dimostra avanzate capacità di comunicazione - spiega Rosso - l’esistenza riti, tradizioni. Sempre in Africa, esiste una popolazione, gli Hamar, in cui le donne, una volta sposate, si tingono di rosso da capo a piedi: in questo modo viene veicolata un’informazione precisa». E i Neanderthal? «Finora - prosegue Rosso - mi sono occupata di siti sapiens. Ma la grotta veronese è un sito molto promettente, essendo stato abitato molto a lungo». Non è un caso che l’università di Ferrara abbia puntato su di lei: è considerata una delle poche persone in grado di sciogliere l’enigma dei pigmenti. «Nel corso della mia formazione post laurea mi sono specializzata in analisi chimica. È la sfida degli studi preistorici: non avendo a disposizione documenti occorre farsi dare una mano dalle scienze esatte». Che questa volta sono chiamate a sciogliere un’enigma che coinvolge dei cugini «alla lontana», così simili, eppure ancora così sconosciuti.