L’IMPRESA HA BISOGNO DI CREATIVI
Luci e ombre sull’economia veneta. Con il 25,5%, è di 8 punti sopra la media dell’Unione Europea il contributo dell’industria veneta alla creazione di valore. Resta però debole la spinta alla nuova imprenditorialità con alta istruzione formale, essendo appena il 3% la quota di neolaureati che sceglie di creare un’impresa. E resta aperto l’interrogativo sui 5300 di loro che nel 2017 hanno lasciato la regione: fuga o circolazione di cervelli?
Per diradare le ombre ci vogliono ambizioni oltremisura, a cominciare dalla manifattura che sta attraversando il tempo della rivoluzione tecnologica e organizzativa. La «nuvola» informatica, il commercio elettronico, l’Internet mobile, l’Internet delle cose, l‘intelligenza artificiale e le macchine che apprendono come accade agli esseri umani sono minacce che il ringiovanimento industriale trasforma in opportunità. Seppur incompleta, la lista qui suggerita delle voci da tenere sott’occhio indica la direzione di marcia.
Primo: le tecnologie emergenti richiedono ai lavoratori di acquisire nuove competenze.
Secondo: piuttosto che nelle persone poco qualificate, il problema principale risiede nelle occupazioni poco qualificate che si sono ereditate.
Terzo: imprese e individui per avere successo devono porsi come partner di reti con capacità di dare e ricevere contributi dagli altri giocatori.
Quarto: l’impresa va fatta ruotare intorno alle persone, anziché essere disposta intorno ai suoi prodotti e servizi. Per adeguarsi a queste sfide, c’è bisogno del contributo di una leva di imprenditori innovativi. Tutti trarrebbero beneficio se, in prospettiva, tanti lavoratori potessero portare in superficie il loro potenziale imprenditoriale tuttora sommerso, per agire da investitori a lungo termine. Una missione che inizia con gli adolescenti che vivranno un futuro in cui lavorare vorrà sempre più dire interagire tra persone interdipendenti. Tramontata l’età del fatidico posto di lavoro, l’interazione richiede creatività che è frutto della libertà di pensiero. Si è aperta una finestra sul futuro che appartiene agli entusiasti, pronti ad abbracciare la passione per l’imprenditorialità.
Le giovani generazioni vanno educate al pensiero indipendente e al comportamento deviante. Ciò che è in gioco è la creatività, cioè il processo di concepire idee originali che hanno valore. Il pensiero creativo non è un talento, è un’abilità che può essere appresa. La creatività e l’innovazione sono una competenza di base per dirigenti e amministratori che sono chiamati a creare prodotti, processi o servizi per un mercato che cambia – sostiene Edward de Bono, l’autore dei Sei cappelli per pensare. È dunque la qualità del capitale umano a fare la differenza. Gary Becker, premio Nobel per l’economia, coniando il termine «capitale umano» mise in dubbio l’appropriatezza del metro in uso. Una volta che entra in gioco l’insieme di conoscenze, competenze e abilità dei lavoratori, la qualità delle prestazioni fa premio sul numero dei dipendenti e delle ore di lavoro. Ciò che emerge è l’impresa promotrice di uno stile di lavoro incentrato sui valori umani e sullo spirito critico, a fronte di una vasta gamma di tecnologie che rimpiazzano le persone nell’esecuzione di tanti compiti. La dimensione umana dell’impresa si riflette negli inediti profili dei lavoratori in veste di co-creatori e intraprenditori, che comunicano tra loro in modo coerente e fluido, facilitando la comprensione reciproca. Le imprese nuove e ringiovanite sono un luogo vivace dove il dialogo permette la fioritura di conflitti costruttivi. Lo scontro e il confronto di opinioni opposte rimuovono i confini cognitivi, attenuano gli errori e aiutano le persone a scoprire sentieri di crescita aziendale.