Patto di Verona per prevenire il fanatismo
Convegno della prefettura all’Università: ricette per una convivenza civile e sicura
L’Italia, che pure non ha mai subito fino ad ora attentati terroristici ispirati al fondamentalismo religioso, ha varato leggi piuttosto repressive, che puniscono con pene severe l’autoaddestramento, l’autoindottrinamento, il proselitismo fondamentalista. Quello che manca, ha sottolineato il magistrato Stefano Dambruoso, è «una legge che definisca un percorso preventivo di contrasto alla radicalizzazione, nelle scuole, nelle carceri e sul web». E chissà se l’attuale Parlamento avrà la volontà politica di occuparsene.
Dambruoso, che è anche un ex deputato di Scelta Civica e tra i massimi esperti italiani di terrorismo, è intervenuto ieri al convegno «Convivenza e sicurezza: il contributo delle Religioni» organizzato dalla Prefettura di Verona alla facoltà di Scienze Giuridiche dell’Università di Verona. Presenti i rappresentanti veronesi dei principali culti, a costituire una comunità interreligiosa che vuole essere, prima di tutto, uno spazio di dialogo. Perché, come ha spiegato Giuseppe Comotti, professore di Diritto canonico ed ecclesiastico, se è vero che la nostra Costituzione «non parla del dialogo tra le confessioni religiose», nulla vieta a uno Stato laico (ma non laicista) «di favorire le condizioni perché questo dialogo avvenga, a partire dal riconoscimento reciproco e da alcuni valori condivisi, che poi sono proprio quelli della Costituzione». La posta in gioco è particolarmente alta, secondo il prefetto di Verona Salvatore Mulas: «L’indottrinamento fideistico può scardinare le comunità. Per prevenire queste reazioni di intolleranza e incomprensione il vaccino è il dialogo».
«Radunarsi, conoscersi e riflettere insieme è più che importante, è cruciale in questo periodo», secondo il rabbino Yosef Labi. «Siamo consapevoli della nostra responsabilità», ha detto Mohsen Khochtali del Consiglio Islamico di Verona, che si è detto «preoccupato per l’immagine difforme dell’Islam e dei musulmani», che sono il 4 per cento della popolazione italiana; allo stesso tempo, un milione di cittadini italiani sono di fede musulmana. «La nostra è una religione di pace e di tolleranza - ha assicurato Possiamo dare un contributo importante alla sicurezza e alla serena convivenza in questa città». Da parte sua, il vescovo di Verona Giuseppe Zenti ha affermato che «una religione di odio non è una religione, ma ideologia pura». E quando nel Corano, ma anche nella Bibbia, si parla di «guerra santa», non si intende a suo avviso «una guerra contro altri uomini, ma contro i nemici dell’uomo: l’egoismo, l’individualismo, la superbia, l’idolatria del denaro e del potere». Un «richiamo alla non violenza» è arrivato anche dalla pastora della Chiesa Evangelica Valdese Laura Testa.
Il magistrato Dambruoso, che si è confrontato nel dibattito con Davide Assael dell’associazione ebraica Lech Lechà e con l’imam Isa Abd alHaqq Benassi del consiglio delle guide religiose (Coreis), ha spiegato che dopo gli attentati a Charlie Hebdo l’Italia ha modificato il suo codice «per introdurre norme fortemente repressive nei confronti della minaccia del terrorismo islamista». In base a queste norme, persone come Meriem Rehaily, la padovana che ha aderito allo Stato islamico ed è stata recentemente individuata in un campo profughi a Raqqa, «vanno arrestate se rimettono piede in Italia». Sarebbe poi auspicabile un percorso di de-radicalizzazione: ma, ammette il magistrato, «in altri Paesi europei dove è previsto, non ha funzionato».
Stefano Dambruoso (magistrato) Le norme repressive ci sono, manca una legge che contrasti la radicalizzazione in scuole, carceri e sul web