La truffa milionaria ai clienti Unicredit Un anno e 11 mesi all’amico del bancario
Puntò al gioco per conto di Bacchi, suicida per lo scandalo: ieri ha patteggiato
(la.ted.)A cavallo tra il 2015 e il 2016, dopo anni di raggiri di cui neppure le vittime si erano accorte, venne improvvisamente alla luce la colossale truffa da diverse decine di milioni di euro ordita e attuata ai danni di numerosi clienti che avevano depositato tutti i loro risparmi alla filiale Unicredit di San Giovanni Lupatoto. Dietro lo scandalo c’era la mano del bancario Davide Bacchi, che non resse il peso delle conseguenze e si tolse la vita: troppo gravoso, per lui, sopportare il licenziamento, l’inchiesta per truffa e appropriazione indebita, il sequestro dei beni. Con la sua morte, però, la vicenda penale non venne archiviata. Tutt’altro:sul registro degli indagati finirono altri due nomi.
Entrambi, secondo gli inquirenti, sarebbero stati implicati nella vicenda benché in modo indiretto: non avrebbero cioè concorso con Bacchi nel reato di truffa e appropriazione (reati di cui l’unico responsabile sarebbe stato il bancario), ma avrebbero «ostacolato l’identificazione della provenienza delittuosa» degli assegni ricevuti da Bacchi. Codice penale alla mano, il reato è quello previsto e sanzionato all’articolo 648 bis del codice penale, un’ipotesi riconducibile al riciclaggio. Al banco degli imputati, difeso dal legale Paolo Maruzzo, ieri davanti al giudice Laura Donati c’era Paolo Rossin, che dopo aver sostanzialmente ammesso l’addebito ha patteggiato la penale finale di un anno e 11 mesi. Per l’accusa, c’era il pm Giovanni Pietro Pascucci: nella sua inchiesta compare anche un secondo indagato, ovvero Michele Monti, amministratore unico della Soleluna srl, esercente un punto di scommesse Snai a Bussolengo. Era proprio a quest’ultima società che Bacchi (che in Unicredit operava con funzione di «consulent first») intestava di volta in volta, in base a quanto emerso dalle indagini, gli assegni circolari tratti sui conti dei clienti Unicredit che tra il 2009 e il 2015 aveva convinto a fornirgli la provvista per effettuare una serie di investimenti finanziari. Secondo gli inquirenti, il ruolo di Rossin sarebbe stato «quello di effettuare scommesse presso la Soleluna per conto di Bacchi, che gli consegnava ogni volta le somme occorrenti».
Non solo, perché Rossin «era rimasto nel tempo invischiato in una situazione debitoria grave nei confronti della Soleluna, avendo così ottenuto da Monti di effettuare giocate allo scoperto». Fino a ieri, le uniche sentenze emesse portavano la firma del Riesame e della Cassazione, secondo cui i beni sequestrati per oltre 5 milioni e mezzo dovevano restare sotto sigilli in quanto «con una diligenza minima, corrispondente peraltro ai precisi obblighi normativi gravanti sul concessionario di punti scommesse, Monti avrebbe facilmente percepito che Rossin non poteva disporre del denaro impiegato nelle giocate, trattandosi di un modesto panettiere di limitate capacità economiche». Ragion per cui, scrissero gli Ermellini, «la sistematica elusione di ogni controllo, soprattutto nel protrarsi nel tempo delle giocate di Rossin, doveva quindi considerarsi indice della consapevolezza, da parte di Monti, della provenienza sospetta dei capitali impiegati da quel particolare cliente». Un sistema che consentì di alimentare la ludopatia di Bacchi, facendogli bruciare i risparmi degli ignari clienti.