VENEZIA E IL TURISMO SOSTENIBILE
Secondo la Banca d’Italia il turismo internazionale in Italia nel 2017 ha chiuso l’anno con un aumento dell’11,8% di arrivi stranieri che hanno incrementato la loro spesa del 7,7%. Le città d’arte si sono confermate come le destinazioni più gettonate, avendo attratto oltre il 51% dei viaggiatori stranieri (più 15,4% nel 2017 rispetto al 2016) che vi hanno concentrato quasi il 60% della spesa. Il turismo straniero in Italia è sempre più affare che interessa innanzitutto Roma, Venezia e Firenze. Buone notizie per l’economia del paese, buone notizie per l’economia delle tre città, ma anche il segnale dell’acuirsi di problemi di congestione, di avvicinamento alla capacità massima di accoglienza, di queste come gli altri destinazioni minori, da Capri alle Cinque Terre a San Gimignano, che esigono risposte adeguate nazionali, regionali e locali. Nell’interesse della preservazione del bene culturale che ogni città storica costituisce, nell’interesse del turismo, che se non contenuto rischia di uccidere le galline dalle uova d’oro, e nell’interesse di sviluppi delle comunità locali diversi dallo «sfruttamento pitocco del genio dei padri e della curiosità dei foresti», per ripetere quanto Giovanni Papini rimproverava a Firenze nel 1913. Il tema è sicuramente maturo a Venezia. Per il livello di criticità raggiunto dalla situazione, ma anche per la consapevolezza dell’urgenza, che l’amministrazione Brugnaro sta mostrando con l’avvio di primi esperimenti di intervento.
Eper la ricchezza degli strumenti analitici, delle conoscenze e delle ipotesi di soluzione che si sono andati accumulando da oltre 30 anni, ivi compresi i nuovi strumenti che l’innovazione digitale mette a disposizione. Quello che è più chiaro oggi è che occorre prendere il toro per le corna: partire dalla determinazione del numero massimo di visitatori accoglibili ogni giorno e farlo rispettare. Ottenendo dal governo tutte le coperture legislative ed amministrative necessarie. La capacità massima di accoglienza è la variabile chiave per definire non solo la politica turistica, ma tutta la strategia di sviluppo dell’intera Venezia metropolitana. Quanti turisti, dunque? E’ la domanda che si rivolgono oggi i veneziani infastiditi per la difficoltà di muoversi per le calli di Venezia o per l’impossibilità di trovar casa a prezzi sopportabili, ma anche –e questo è l’aspetto più grave e finora trascurato—quella che si pongono le attività economiche non turistiche di fronte ad affitti impossibili dilatati dalla rendita turistica. Domanda che appare ineludibile oggi, quando la temuta monocoltura turistica esorcizzata per anni sta divenendo realtà, ma alla quale si era data risposta fin dalla metà degli ’80 paradossalmente, studiando l’ipotesi di candidare Venezia a sede dell’Expo 2000: ipotesi caduta la notte del 15 luglio 1989 dopo l’invasione da incubo dei visitatori attirati dal concerto dei Pink Floyd. Il limite della capacità di accoglienza turistica, si era detto, doveva essere inferiore a quello che avrebbe messo a rischio l’integrità fisica dei monumenti da visitare, ma anche a quello che avrebbe impoverito la qualità dell’esperienza turistica degli altri visitatori, ed infine inferiore a quello che avrebbe ridotto la qualità della vita dei veneziani non operanti nel turismo. Il non essere intervenuti a quel tempo e, poi, il non aver completato le politiche (controllo degli arrivi via autobus e via lancioni con le relative ZTL) avviate tra il 2000 e il 2005, rende oggi molto più difficile il rispetto di questo terzo limite, che lasciato alla regolazione di mercato tende allo spiazzamento di ogni attività produttiva e residenziale non turistica. La risorsa scarsa oggetto in questo caso della contesa è il patrimonio edilizio (residenziale e non residenziale) del centro storico oggi ormai largamente utilizzato a fini turistici e, ancor più, reso tutto potenzialmente utilizzabile a questi fini dai meccanismi della sharing economy e della intermediazione digitale. Venezia per mantenere il carattere di comunità urbana e riconquistare un ruolo nella civitas metropolitana in formazione, avrebbe bisogno di recuperare ad usi non turistici (produttivi ancor più che residenziali) una quota del suo patrimonio oggi compromesso a servizio della monocoltura turistica. Meno alberghi in centro storico, con meno ristoranti e meno negozi di specialità veneziane. Missione difficilissima, ma non impossibile; da ottenere nel breve-medio periodo con misure antibiotiche ( imbrigliando i cambi d’uso e regolando le intermediazioni alla airbnb), ma vincente solo se accompagnata nel mediolungo periodo da misure probiotiche: favorire l’insediamento a Venezia di attività produttive (e residenziali) capaci di competere con il turismo nell’accaparrarsi gli spazi veneziani. Ma, tout se tient, questo rinvia alla possibilità/capacità di immaginare per l’area metropolitana funzioni globali utili all’intero Nordest e capaci di sfidare il turismo. Che sono nel dna di Venezia. Ma in quello dei veneziani e dei veneti di oggi?