BANCHE, IL DOPPIO DEFICIT
La recente sentenza trevigiana che, in buona sostanza, è intervenuta a «retrodatare» la condizione d’insolvenza di Veneto Banca ha un valore pratico e uno simbolico. Il secondo, quello simbolico, va ben oltre la vicenda delle banche venete. Ma andiamo con ordine. Dal punto di vista pratico, la decisione trevigiana apre una nuova prospettiva nel senso di un’ulteriore spinta verso la destabilizzazione del quadro giuridico: in effetti, al di là dei profili penalistici (senza dubbio preminenti nell’ottica del Tribunale), per gli ex soci che nella primavera 2017 avevano accettato l’offerta pubblica di transazione si dischiude la possibilità di vedersi resa oggetto di revocatoria la somma, già in sé irrisoria, allora accettata. Questo almeno in teoria. Per varie considerazioni, sia di carattere tecnico che di opportunità generale, non ritengo probabile che in definitiva si giungerà davvero a far scattare le revocatorie. Tuttavia, il sol fatto che dopo un anno dalla messa in liquidazione delle banche venete si sia qui a commentare questa possibilità induce a leggere il significato simbolico della vicenda. In assenza di un preciso governo politico legislativo, i danni derivanti dal crac delle banche si sono sommati, addirittura moltiplicati e infine hanno sfibrato i territori che quelle precise risposte politiche non sono stati in grado di esprimere. Si guardi lucidamente al dato di fatto: oggi i territori «finanziariamente secondari» non sono più in grado di incidere sull’agenda della politica economica del Paese.
Credo che il discorso possa valere indifferentemente per il Triveneto, che è epicentro di questa crisi bancaria, ma anche per l’Emilia-Romagna (Ferrara docet), come per molte altre parti d’Italia. Una sorta di selezione naturale del potere politicofinanziario non ha lasciato spazi vitali a chi, pur certamente ancora rilevante dal punto di vista economico, non si trovava al momento giusto nel cuore stesso di quel potere. Il discorso può leggersi biunivocamente: i territori che - con qualche provocazione - ho chiamato «secondari» non sono stati risparmiati e, per converso, quei medesimi territori non hanno saputo esprimere una risposta abbastanza energica. È ora molto tardi per tentare di mettere in campo soluzioni che presentino una tenuta tanto economica quanto tecnico-giuridica, a fronte della gravità e della complessità della patologia: possono forse intervenire, in via di supplenza, le Regioni? Ma hanno la forza politica per farlo? E ne hanno le competenze? Assistere al progressivo degenerare del quadro clinico senza che si veda una reazione adeguata fa allora in qualche misura rimpiangere quelle figure di leader politici tipicamente «territoriali» che erano così presenti nella prima Repubblica; erano catalizzatori di consenso e quindi azionisti della governance politico-finanziaria nazionale, in grado di incidere sulle linee di sviluppo di banche, enti e aziende pubbliche e private. Certo, tante volte con gravi distorsioni clientelari. Ma erano pur sempre figure di riferimento che, bon gré mal gré, assicuravano risposte alle esigenze specifiche di un certo territorio.
Ecco dunque la conclusione: l’ultimo tassello di questa drammatica vicenda bancaria arriva addirittura a evocare qualche rimpianto per quei vecchi leader territoriali.