L’idea del commissario, la Siemens e il Combino: 24 anni di chiacchiere
Era l’anno 1994, il commissario De Muro lancia l’idea di realizzare a Verona una tramvia, per accedere ai finanziamenti statali. Da lì in avanti è un susseguirsi di annunci, di progetti e controprogetti, con le varie amministrazioni comunali che si sono succedute (doppia Sironi, Zanotto e doppio Tosi) che non sono riuscite a partire con l’opera, spesso rimpallandosi le responsabilità. In pratica, 24 anni di chiacchiere.
Correva l’anno 1994, Bill Clinton guidava gli Stati Uniti, Silvio Berlusconi si apprestava a vincere le sue prime elezioni, il Milan a vincere lo scudetto e la nazionale italiana a perdere (ai rigori) la finale Mundial contro il Brasile.
Palazzo Barbieri era senza giunta, squassata da Tangentopoli e commissariata dal prefetto sin dal dicembre precedente. Il Commissario era un romano, Alberto De Muro. E a lui venne la prima idea: a Roma c’erano finanziamenti disponibili per le città che avessero adottato un nuovo mezzo di trasporto pubblico. Ecco l’idea: perché non chiederli anche noi, quei soldi, magari per fare una bella tramvia? In città ci fu chi applaudì, chi ironizzò (la battuta «tàcate al tram» era la più scontata), chi polemizzò («ma ci pensate cosa vuol dire scavare sotto San Fermo o piazza Bra, con tutti quei resti archeologici?»).
Ma il dado era tratto e la lettera di richiesta già partita. A metà anno, il 26 giugno, Michela Sironi diventa sindaco e l’idea va avanti. Nel 1997 parte il progetto preliminare. A lavorare sul tema, l’allora direttore generale Leonardo Michele Lo Tufo, vulcanico manager poi prematuramente scomparso. Nel suo ufficio (di fronte all’aula del consiglio comunale) i giornalisti vennero convocati per l’apertura delle buste con le offerte per realizzare la tramvia: due offerte di due giganti, Siemens e Ansaldo. La seconda impresa aveva fatto un errore procedurale e Siemens vinse in solitaria, con qualche polemica (Renzo Burro, in consiglio comunale, disse che quando lui era assessore e faceva una gara per la fornitura di pannolini, per dire una cosa minimale, rifaceva la gara se il concorrente era uno solo).
Ma Siemens fu. Tra nuove società appositamente create (la Sitram) e battaglie nei quartieri che sarebbero stati attraversati (Borgo Venezia in prima linea) si andò avanti. Era intanto arrivata la giunta di centrosinistra guidata da Paolo Zanotto. L’assessore Carlo Pozzerle ci diventò matto, su quel progetto. Il sistema avrebbe dovuto trasportare, in 15 tram da 250 posti ciascuno e lunghi 32 metri, 3.600 passeggeri l’ora, con una frequenza massima di 4 minuti.
I lavori, però, non partirono mai. La gigantesca Siemens (associata con il Consorzio Cooperative di Bologna e con la veronese Mazzi) dovette arrendersi. Il Comune, nell’aprile 2005, si prese la soddisfazione di farsi pagare 25 milioni di euro d’indennizzo, visto che il mezzo prescelto, chiamato Combino (anche qui, con una ridda di battutacce in città…) non aveva dato buona prova di sé.
Corsi dixit Non è colpa nostra se ci hanno lasciato un progetto devastante
Ciò nonostante, la giunta Zanotto, allora, confermò «per quanto di propria competenza, la volontà di realizzare la tramvia di superficie riservandosi l’adozione dei successivi provvedimenti». Che non arrivarono. E la metrotramvia (questo il nome ufficiale) andò definitivamente a picco.
Venne così l’ora della prima giunta di centrodestra guidata da Flavio Tosi, che della tramvia era stato negli anni precedenti uno strenuo avversario e che nel 2008 diede via al progetto per realizzare un filobus («se torna alle tiràche», commentarono molti veronesi, ricordando le vecchie filovie agganciate a fili aerei che sfrecciavano in città e in provincia negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso).
I finanziamenti da Roma furono ancora una volta promessi, poi cancellati, poi ripromessi, con viavai senza fine di parlamentari tra Verona e la capitale. A più riprese furono inaugurati diversi cantieri, con le prime buche per terra entro cui installare i sottoservizi. Buche poi ricoperte e lì rimaste. Qualche tempo prima l’assessore Enrico Corsi si era difeso dalle critiche sulla lentezza del progetto spiegando che «non è colpa nostra se la precedente amministrazione ci ha lasciato in eredità un progetto di tramvia devastante per la città e irrealizzabile sia per i costi elevati che per il tracciato insufficiente a coprire le esigenze dei quartieri». Intanto a Roma il Cipe tornava a fare i capricci sui finanziamenti, mentre i progetti cambiavano e ricambiavano (a San Paolo, in Borgo Venezia, in via Città di Nimes).
Filobus e Traforo furono comunque, per 10 anni, l’asse portante dei programmi delle due amministrazioni Tosi. Poi arrivò Federico Sboarina. Il Traforo fu dichiarato morto e sepolto. E il filobus è al punto che vi raccontiamo in queste pagine.