LA RIPRESA SENZA I POVERI
C’è ma non si vede. O si vede poco, troppo poco. Quel che c’è è la ripresa, una ripresa che lo scorso anno in Italia ha visto il Pil salire dell’1,5 per cento ed in Veneto dell’1,6. Quest’anno, stima la Cgia di Mestre, dovrebbe esserci una crescita dell’1,4 in Italia mentre in Veneto dovremmo riuscire a salire ancora: più 1,7 per cento di Pil (anche se la lunga recessione ce ne ha mangiati nove di punti). Ma è una crescita che non riesce a vedersi, cioè a tradursi evidentemente in ricchezza e benessere per tutti, dato che – ci avvisa l’Istat – cresce anche la povertà. Anzi, le due povertà: quella assoluta e quella relativa. Potremmo dire che è una ripresa aporofobica (come la chiama dal greco la filosofa spagnola Adela Cortina), cioè che non ama i poveri. Infatti continua a non vederli, segno che siamo in una ripresa limitata, selettiva, sicuramente disuguale. Anche la povertà, oltre che in crescita, è profondamente disuguale non solo socialmente, il che è ovvio, ma anche territorialmente. Prendiamo la povertà relativa, quella più “leggera”: sbanda da valori sotto il 5 per cento in Valle d’Aosta, Emilia e Trentino (soprattutto a Bolzano ove si tocca il minimo italiano) alla percentuale “sudamericana” della Calabria che riesce a superare il 35 per cento di poveri, quasi tre volte la media nazionale.
Come si pone il Veneto in questa geografia del disagio e della povertà?
Utilizzando la nota metafora del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto, potremmo adottare due sguardi, uno ottimistico ed uno pessimistico, entrambi con le loro (apparenti) buone ragioni. Quello ottimistico ci dice che il Veneto, con il suo 6,1% di povertà relativa non è poi messo male, dato che è una percentuale pari alla metà di quella media del paese ed è anche un valore che fa sì che siano solo cinque le regioni italiane che riescono a fare meglio di noi, ad avere cioè tassi di povertà minori (oltre alle citate Valle d’Aosta, Emilia e Trentino, ci precedono anche Lombardia e Toscana). Lo sguardo pessimistico ci fa notare invece che il tasso di povertà veneto, pur contenuto, cresce rispetto all’anno prima passando dal 5,5 all’1.6% attuale. Un incremento non vistoso, ma che pur sempre fa a pugni con una ripresa che in Veneto è più decisa di quella nazionale. Sono due tendenze solo apparentemente contraddittorie o paradossali. Ma che si spiegano col fatto che è una ripresa socialmente fredda perché prosegue sui solchi profondi delle disuguaglianze esistenti punendo (ad esempio) soprattutto quelle coppie con figli (due o tre) che dovrebbero risollevare le catastrofiche tendenze della nostra gelida demografia. Invece niente: alla ripresa i poveri proprio non piacciono.