Dal «non ti pago» al «pago Ronaldo» I diritti dei calciatori
«Mazzola, Rivera, Bulgarelli, VICENZA De Sisti, Losi...». Non è una formazione ma il gruppo dei giocatori della nazionale che il 3 luglio 1968 fondò l’Associazione italiana calciatori, il sindacato del pallone che ieri ha festeggiato i suoi primi cinquant’anni con una cena di gala nelle logge della Basilica Palladiana. A Vicenza, dove l’associazione ha sede fin dalla nascita. «L’iniziativa venne da loro, qualcuno fece il mio nome per la presidenza e mi presi una settimana per pensarci – racconta Sergio Campana, ex giocatore del Lanerossi, poi avvocato e presidente Aic per 43 anni –. Dissi di sì: avevo appena aperto il mio studio di avvocato a Bassano. L’associazione nacque lì, e dopo sei mesi la spostai a Vicenza. Oggi in nessun Paese al mondo i calciatori hanno le tutele che hanno in Italia».
A Campana ieri Roberto Fabbricini, commissario straordinario Fgci, ha consegnato il trofeo che lo inserisce nella hall of fame federale. «In mezzo secolo – riconosce Fabbricini – l’Aic ha contribuito a cambiare la mentalità del mondo del calcio italiano». Negli anni Sessanta era molto diverso. «Noi nazionali eravamo privilegiati, ma volevamo fare qualcosa per chi stava peggio – ricorda Gianni Rivera fra un prosecco e una tartina sulla terrazza della Basilica –. A metà campionato, quando una squadra capiva che non sarebbe stata promossa, smetteva di pagare i calciatori».
Attorno, in pochi metri quadri chiacchierano amabilmente quattro ex presidenti federali Fgci, Antonio Matarrese, Franco Carraro, Giancarlo Abete e Carlo Tavecchio. «Noi eravamo proprietà delle società, oggi gli atleti sono padroni di loro stessi – dice Rivera –. Cristiano Ronaldo alla Juve? Con le cifre che girano, possiamo dire citando il Vangelo che ha vinto Mammona. Almeno il primo tempo». Gli fa eco Roberto Bettega: «Una volta le squadre non pagavano i contributi pensionistici. Li dovevo versare tutti io».
L’affare Ronaldo è sulla bocca di tutti. E misura il capovolgimento di prospettiva di un calcio diventato una girandola impazzita di milioni.
«Ormai è fatta, pare – dice sornione Carraro, inossidabile tre-volte-presidente Fgci –, ma l’asso portoghese ha 33 anni, ci penserei prima di prenderlo».
Del governo del calcio nazionale, nell’anno dei Mondiali senza Azzurri, si tende a non parlare volentieri. «Le rendite di posizione non esistono più, nel calcio come in tutti i settori – allarga le braccia Abete –. Che in Fgci ci sia dialettica è fisiologico, vedremo nei prossimi mesi».
Fischiano le orecchie a Damiano Tommasi, il presidente Aic che a inizio anno si è candidato, senza essere eletto, alla guida della federazione calcio. «I problemi di un tempo ci sono ancora nelle categorie inferiori – spiega –. Ronaldo? So che è molto vicino al sindacato portoghese, se arrivasse in Italia sarebbe un’ottima notizia». Poi tutti a tavola a godersi i Mondiali: sul maxi schermo c’è Belgio-Brasile.