Operaie si dimettono contro le molestie del titolare d’azienda
Isola Rizza, 4 operaie lasciano il lavoro e chiedono i danni: a giudizio l’ex titolare
Dai «palpeggiamenti al seno» agli «apprezzamenti volgari a sfondo sessuale», dagli «inviti a vedere con lui dei video pornografici», alle «offese della reputazione». Una serie di comportamenti «proibiti», quelli tenuti all’interno dell’azienda dal datore di lavoro, che alla fine avrebbero indotto le sue dipendenti a dimettersi in blocco.
Dai «palpeggiamenti al seno» agli«apprezzamenti volgari a sfondo sessuale», dagli «inviti a vedere con lui dei video pornografici», alle «offese della reputazione».
Una serie di comportamenti «proibiti», quelli tenuti all’interno dell’azienda dal datore di lavoro, che alla fine avrebbero indotto le sue dipendenti a dimettersi in blocco. Mesi di molestie e approcci a sfondo hard, di «carezze rubate» e inequivocabili apprezzamenti erotici che avrebbero finito per rendere letteralmente insostenibili le giornate di lavoro alle operaie di un mobilificio che ha sede a Isola Rizza. E ieri mattina, su decisione del giudice per l’udienza preliminare Luciano Gorra, è scattato il rinvio a giudizio a carico di T. R., 71 anni, veronese: difeso dall’avvocato Silvio Baldini, verrà processato a partire dal prossimo 26 ottobre. In aula, dovrà rispondere nella veste di imputato di una sfilza di reati, dalla violenza sessuale (nell’ipotesi dei palpeggiamenti) alle molestie, dalle ingiurie alla violenza privata. Stando alla ricostruzione delineata dalla procura scaligera, quando le dipendenti si erano «coalizzate» per protestare contro quell’insostenibile «modus agendi» attuato nei loro confronti dal legale rappresentante dell’azienda, lui avrebbe reagito minacciandole addirittura di morte: «Ve
rovino, ve copo...». E a quel punto le quattro colleghe, che ieri in aula si sono costituite parte civile avvalendosi del legale Stefano Gomiero, si sono trovate «costrette - come si legge nel capo d’imputazione - a rassegnare le dimissioni». Hanno lasciato il lavoro tutte insieme, nonostante avessero bisogno di uno stipendio: quella situazione, però, sarebbe diventata per loro talmente insostenibile da indurle a lasciare un posto sicuro pur di sottrarsi a quei comportamenti tutt’altro che graditi.
Tutto ciò accadeva il 6 aprile 2017: da quel giorno, sono scattate anche le denunce e le indagini, coronate ieri dal rinvio a giudizio. Dal canto suo, la difesa conta di dimostrare l’innocenza dell’imputato al processo: per il gup Gorra, però, «le fonti di prova indicate e illustrate dal pm forniscono il quadro di un’apparente fondatezza dell’accusa, come si desume dalle denunce querele e dalle sommarie informazioni rese dalle parti offese».
Inoltre il giudice ha ritenuto ieri «irrilevante l’eccezione difensiva relativa alla tardività della querela» per un episodio di violenza sessuale che secondo una delle operaie si sarebbe verificato ai suoi danni a novembre 2016. Tutte e quattro, le (ormai ex) dipendenti lo accusano inoltre di «aver recato loro molestia invitandole a vedere con lui dei video pornografici» nonché «facendole oggetto di apprezzamenti volgari a sfondo sessuale». A ciascuna di loro, anche se con parole diverse, avrebbe rivolto per mesi irriferibili «espressioni e inviti» dall’evidente tenore «erotico», «tentando spesso approcci sessuali» e talvolta «seguendole anche in bagno».. Non solo perché stando alle accuse si sarebbe reso responsabile anche di ingiurie «per aver, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, offeso la reputazione delle sue dipendenti alla presenza di fornitori e clienti della società dallo stesso rappresentata nonché di impiegati di banca ed amici, che le stesse sono delle “p., che non hanno voglia di lavorare”, che ”vengono a lavorare ubriache”» oltre a tutta una serie di altre frasi irripetibili».
Vanamente, prima di licenziarsi, le operaie «nel mese di marzo 2017» avrebbero cercato di farlo «smettere» inviando «per conto delle stesse ed a mezzo del loro legale, una missiva in cui contestavano un richiamo dallo stesso rivolto alle medesime». Infine le minacce di morte, al punto che «con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso le costringeva a rassegnare le dimissioni in data 4 aprile 2017». Spetterà ovviamente al processo che prenderà il via in autunno, far emergere la verità riguardo alle accuse contestate: una serie di comportamenti negati dalla difesa e che per la procura, al contrario, sarebbero aggravati dalla continuazione.