Negozi, sentinelle e gruppi di pusher così il racket si era preso Mestre
I guadagni finivano in Nigeria. Droga tagliata con oppio sintetico: «I capi sapevano che era roba mortale»
Istruzioni ai pusher Non lavorare sempre, fai pausa spesso, cambia look e non vestire troppo elegante
A mazzette da seimila, ventimila, ma anche 250 mila euro gli spalloni trasportavano i contanti in Nigeria. Soldi guadagnati con la vendita dell’eroina gialla. Il denaro sporco del sangue di chi, per una dose, ha perso la vita, finiva quasi tutto all’estero. Per colpa della «roba», così la chiamavano i pusher, sono morte cinque persone in un anno e non è escluso - sono in corso le analisi che quell’eroina killer sia causa del decesso di altri undici tossicodipendenti.
Il business messo in piedi dalla mafia nigeriana, smantellato con una maxi retata della polizia martedì pomeriggio, oltre ad aver trasformato la zona antistante la stazione ferroviaria di Mestre in un mercato a cielo aperto sempre aperto, ha avuto un effetto devastante sui clienti. L’eroina gialla, infatti, tagliata con il metorfano, un oppioide sintetico, ha aumentato la dipendenza dei consumatori rendendo la droga decine o centinaia di volte più potente. Gli spacciatori erano consapevoli dei suoi effetti letali, eppure hanno continuato a venderla.
Grazie allo spettacolare blitz di martedì, la polizia ha arrestato 28 nigeriani ma ne mancano ancora diversi all’appello. Le ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal gip su richiesta del pm Paola Tonini della Dda di Venezia - al termine di un’indagine condotta dalla squadra mobile guidata da Stefano Signoretti e dallo Sco diretto da Alessandro Giuliano - sono 35. Gli agenti hanno arrestato anche sei persone in differita, altre tre sono state colpite dall’obbligo di dimora, quattro raggiunte da Daspo urbano e altre dodici ieri mattina sono state accompagnate a bordo di un aereo per l’espulsione. «L’indagine è durata un anno – spiega il procuratore capo di Venezia Bruno Cherchi -. Questa organizzazione ha operato un vero e proprio controllo del territorio con sentinelle che rendevano complicato l’intervento delle forze dell’ordine. Non potevamo intervenire nell’immediato, serviva arrivare in cima alla piramide».
Questa mafia nigeriana di cui facevano parte due donne e che aveva preso il controllo del quadrilatero della stazione di Mestre aveva una struttura gerarchica e «raccoglieva il denaro con sistemi quasi commerciali», aggiunge Cherchi. L’eroina arrivava da Francia, Spagna e Olanda attraverso gli ovulatori. Persone, cioè, pagate per ingoiarla e poi espellerla. Una volta in Italia, la droga veniva nascosta in due appartamenti di Dolo e Salzano in cui vivevano due membri del gruppo e nell’alloggio di un terzo complice all’interno del centro di accoglienza della caserma Serena a Dosson. Le consegne ai pusher avvenivano a volte nella cosiddetta «Chiesa», uno stabile abbandonato a Marghera, e per la maggior parte nelle zone di spaccio. I pusher che la ricevevano erano divisi in due gruppi: «Portici» e «Nosa». Quest’ultimo si appoggiava a un salone in via Monte San Michele che era solo una copertura perché all’interno nessuno lavorava. Quel locale, in realtà, era la centrale operativa dello spaccio e una banca. All’esterno i pusher incontravano i clienti che venivano accompagnati dalle sentinelle. Il denaro raccolto dagli spacciatori veniva ritirato e diviso in maniera certosina. I pusher consegnavano i guadagni di giornata ai superiori che li portavano in un edificio presidiato all’interno del quale veniva contato e diviso in mazzette, con l’utilizzo di elastici e di una vera e propria cassa, per poi essere diviso. Una parte per pagare i rifornimenti, un’altra finiva in Nigeria.
Gli spacciatori, una cinquantina quelli attivi ogni giorno e in grado di produrre un guadagno di migliaia di euro (la polizia martedì è intervenuta alle 14.30 e ha sequestrato seimila euro), erano professionali. I più giovani ricevevano dal loro capo indicazioni su come muoversi. In un’intercettazione uno dei vertici ha fornito a un pusher indicazioni precise: «Non lavorare sempre, fai pausa spesso, cambia look e non vestire troppo elegante». Tutti rispettavano le regole, erano fedelissimi. Al punto da far parte di una vera e propria setta: «The Supreme Eye Confraternity» (la confraternita dell’aquila). Un gruppo pericolosissimo strutturato in articolazioni nazionali dette «Voliere» suddivise in sezioni chiamate «Nidi». Quasi tutti i membri dell’organizzazione, per la maggior parte clandestini, ne facevano parte e adesso si trovano in carcere.
Ieri mattina nel quadrilatero della retata non c’era l’ombra di uno spacciatore, ma presto i pusher potrebbero essere sostituiti. I tre negozi di alimentari ai quali si appoggiavano, intanto, sono stati chiusi e ieri è iniziata una serie di controlli a tutti gli altri esercizi commerciali da parte di polizia, vigili urbani, ispettorato del lavoro e Asl. «Passeremo al setaccio tutte le attività – ha detto il questore di Venezia, Vito Danilo Gagliardi -. Non finisce qui».